22 ottobre 2013 – La storia di Gunnar Nilsson è una di quelle storie che, lette una volta, non si dimenticano più. L’unica pilota morto per malattia nel corso della carriera. Nilsson stava per farsi un nome, stava per diventare qualcuno. Anzi, mi correggo, Nilsson qualcuno lo è diventato comunque.
Gunnar Nilsson nasce a Helsinborg nel 1948 da Arvid Nilsson e Elisabeth Nilsson, magnati di un impero immobiliare tra i più prolifici della Svezia. Entra a far parte dell’impero di famiglia e li svolge una vita regolare, fatta di lussi e agi degni di un erede a un trono finanziario. L’essere serio di Nilsson stride con i suoi inizi di carriera; di fatti anche lui è un ribelle. A 24 anni molla la vita d’ufficio, si compra una Formula Vee e inizia la carriera da pilota da corsa. Al diavolo i milioni fatti su con i mattoni e la carriera da manager! Nilsson poteva permettersi di campare di rendita senza bisogno di rischiare le penne in qualche curva, ma un pilota da corsa vero non ci pensa neanche a passare il resto dei suoi giorni in giacca e cravatta a stringere accordi con qualche milionario. Un pilota da corsa deve correre su un’auto da corsa e il più veloce possibile. Punto.
Con la Formula Vee corre con un certo Jo Bonnier e sembra che abbia messo nella sua scarpa destra un mattone di qualche attico di famiglia. Nilsson va fortissimo e nel 1975 si compra prima una F3, poi un Opel Blitz (altro che Rolls Royce e Aston Martin!) e, in coppia con il suo meccanico, scorrazza per mezza Inghilterra portandosi a casa il titolo di campione inglese di Formula 3. Per il 1976 Nilsson ha sulla scrivania del suo ufficio (Il cofano del furgone Opel) un contratto con la March per una stagione in F2. Il gran boss della Lotus, Colin Chapman, interviene, e rende il contratto con la March un pezzo di carta senza valore. Nilsson esordirà in Formula 1 nel 1976.
Durante un controllo di routine, nel dicembre del 1977, a Nilsson viene data la più atroce delle diagnosi: tumore canceroso ai testicoli. Aveva già firmato un contratto per il 1978 con la Arrows, ma la debilitazione dovuta alla radioterapia lo costringe a rescindere l’accordo. Inizia la sua battaglia più grande a Londra, in un centro all’avanguardia nella cura dei tumori assistito dalla fidanzata Christine e dalla mamma Elisabeth. Le cure lo debilitano tantissimo, facendolo dimagrire 30kg e facendoli cadere i capelli. A Brands Hatch, nel corso del Gran Premio di Gran Bretagna, riesce a fare una breve ma significativa presenza nei garage dei team presenti. Nel frattempo, a bordo di una Bmw, cercava di tenersi in forma per il rientro che tanto sognava.
Scrive di suo pugno una lettera agli amici (tra cui gli Abba, Bjorn Borg, Ingmar Stemmark) e a tutti i suoi colleghi chiedendo di aiutarlo, facendo una donazione ai medici che lottano per trovare una cura al cancro. Rispondono tutti e anche i tifosi accorrono in aiuto di Nilsson. Autosprint raccoglie 170milioni di lire dell’epoca e, dal mondo, arriveranno per quasi un miliardo e mezzo di lire.
Il 20 ottobre del 1978, Gunnar Nilsson è in un letto d’ospedale, stringe la mano sinistra alla fidanzata Christine, la destra alla mamma Elisabeth e così, con semplicità e umanità, chiude gli occhi ed entra in coma, per non uscirne mai più. Dal 1979 la madre darà vita ad una fondazione, la “Gunnar Nilsson Cancer Foundation”, che porta il suo nome ancora oggi mette a disposizione di medici e ricercatori migliaia e migliaia di euro, finanziando numerosi progetti e studi per la ricerca sul cancro. Sempre nel 1979, a Brands Hatch, si corre il “Memorial Gunnar Nilsson” che, nonostante un numero contenuto di piloti di Formula 1, porterà nelle casse della fondazione migliaia di sterline.
Per entrare nel mito, c’è chi sceglie: vittorie, trionfi, gesti memorabili e gare epiche. Il destino aveva deciso che Gunnar Nilsson entrasse nel mito passando per la porta dell’umanità. Una porta che solo lui ha varcato, ma che gli ha permesso comunque di vincere la morte e vivere per sempre nei numeri della sua fondazione. La triste storia di Gunnar Nilsson non è una storia per soli appassionati di corse, ma una storia anche per chi crede che la generosità possa passare davanti a tutto. Anche alla morte.
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