3 agosto 2015 – Nuova puntata di F1Legend e primo episodio di quella che può essere definita una trilogia, che invece del Signore degli Anelli ha per protagonista il Signore delle Corone. Di che tipo? Ovviamente iridate, se si parla dei risultati partoriti dal genio di Adrian Newey, l’ingegnere che viene dalla terra di Shakespeare, che è stato capace di rivoluzionare in modo quasi copernicano il modo di costruire le vetture, dando un’importanza fondamentale all’aerodinamica.
La prima protagonista di questa trilogia è ovviamente la prima vettura che Newey porta al successo, ossia la Williams, e in particolare quella che può essere definita la migliore vettura di Sir Frank di sempre progettata senza aiuti elettronici, la FW18.
Una monoposto che Adrian Newey poteva persino disegnare a mano libera, da tanto bene che conosceva le sue linee, frutto del miglioramento del progetto della FW17. Una linea semplice, quindi, con un muso alto particolarmente sottile; forme praticamente squadrate, fin troppo semplici, verrebbe da dire indovinate.
La FW18 è una di quelle monoposto che si disegnerebbero a occhi chiusi, con quei due enormi deviatori di flusso laterali e quei due alettoni che sembra si completino a vicenda. La FW17 che, ricordiamolo, fu una vera e propria rivoluzione rispetto alla precedente FW16, soprattutto per l’innalzamento del musetto e la forma dell’alettone posteriore. E’ la monoposto del riscatto di Newey, subissato di polemiche dopo l’incidente mortale che è costato la vita ad Ayrton Senna insieme a Frank Williams e Patrick Head, che adotta poche modifiche rispetto alla FW17, ovverosia le protezioni ai lati della testa del pilota, imposte per regolamento, e l’alettone posteriore collegato agli scivoli posti davanti alle ruote posteriori. Ma le malelingue potrebbero dire che le due monoposto di Didcot non avevano concorrenza, che potevano dormire sonni tranquilli…
Forse, questa potrebbe essere considerata la monoposto degli addii eccellenti, visto che forse Frank Williams ha messo sulla graticola non solo lo stesso Newey, ma anche Damon Hill. Ecco il pilota dal cognome ingombrante con un’etichetta poco edificante, quella di “Captain Zero”, che ha già dovuto ingoiare due brucianti sconfitte iridate e viene messo alla prova, anzi si potrebbe dire alla porta, da Sir Frank. Newey sembra venirgli in soccorso, mettendogli a disposizione un vero e proprio missile capace di superare gli avversari anche con distacchi elevati. Peccato che sull’altra monoposto c’è la prova che Hill dovrà superare per guadagnarsi il rinnovo, e questa prova si chiama Jacques Villeneuve. Il figlio dell’Aviatore arriva in Europa forte del titolo Indycar conquistato l’anno prima e di una 500 Miglia di Indianapolis vinta pressochè a mani basse, ben intenzionato a turbare i sogni di gloria dell’inglese.
Solo questi due team riusciranno ad approfittare della sfortuna e di alcuni errori che capitano alle due Williams, ma per il resto si tratta di un vero e proprio assolo (12 vittorie, 12 pole position e 11 giri più veloci; 175 punti in classifica, staccando di oltre 100 lunghezze la Ferrari), con la rivalità tra Hill e Villeneuve che esplode in tutta la sua forza, soprattutto nella gara che consegna al team di Sir Frank il suo penultimo Mondiale costruttori, a Budapest. Ma alla fine sarà uno dei rari ritiri per noie tecniche a consegnare al figlio del grande Graham il suo primo e unico Mondiale, prima del suo approdo alla Arrows.
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