F1 Storia: i titoli sfuggiti alla Ferrari

Da Tony77g @antoniogranato

Cristian ButtazzoniF1Sport.it

4 marzo 2015 – La Ferrari, come si sa, nel bene e nel male è sempre stata protagonista indiscussa del Mondiale di Formula 1 e di certo non manca di far discutere gli appassionati e i tifosi. Nella stagione 2015, anche se è ancora presto per dare giudizi, pare che parta con un pronostico favorevole, ma per evitare facili entusiasmi proponiamo una breve retrospettiva su quelli che, forse, sono state le sconfitte più amare della storia rossa.

Partiamo con quella forse più recente, targata 2012, dove Fernando Alonso, prima dello sciagurato Gran Premio del Belgio in cui è vittima dell’incidente causato da Grosjean, ha un vantaggio di 40 punti su Vettel. Dopo quell’incidente, in cui lo spagnolo rischierà seriamente, Vettel arriverà secondo in quella gara e inizierà progressivamente a erodere il vantaggio che lo spagnolo ha su di lui, vincendo 4 gare consecutive che lo portano in orbita. Emblematica la gara giapponese, in cui il ferrarista è costretto a ritirarsi subito, mentre Vettel va agevolmente a vincere e recupera 25 punti sullo spagnolo. Si arriva all’epilogo in Brasile con il 2 volte iridato che parte dalla seconda fila e sembra avere gioco facile sullo spagnolo, però al via c’è un incredibile colpo di scena, con Vettel che viene spedito in testacoda e deve rimontare dal fondo. Con il tedesco in difficoltà, sembra che per i ferraristi la strada verso il titolo sia  spianata, visto che ad Alonso basta il secondo posto. Ma gli strateghi della Ferrari non hanno fatto i conti con la rimonta di Seb, che sopperisce agli errori di strategia del suo box e riesce a portarsi fino al sesto posto, che gli verrà consegnato da Michael Schumacher, e si aggiudicherà il suon terzo Mondiale. La delusione è palpabile nei box della Rossa, mentre il tedesco di Heppenheim si gode il suo terzo sigillo e verrà lanciato da Bernie Ecclestone tra i grandi di questo sport, visto che raggiungerà Ayrton Senna.

Peggio ancora, alla Ferrari, andò nel 2010, dove lo spagnolo viene accolto con grandi onori e nelle prime gare stagionali sembra in grado di tenere testa a entrambe le Red Bull, soprattutto quella di Webber che pare lanciato nel ruolo di prima guida. La concorrenza, però, in quella stagione arriverà anche dalla McLaren di Lewis Hamilton, che resta in scia fino alla penultima gara nonostante il mezzo non fosse all’altezza di Ferrari e Red Bull. Tutto sembra andare nella direzione di Maranello, con Vettel e Webber che arrivano allo scontro in Turchia e lo spagnolo che si impone nella penultima gara in Corea, facendo sognare il popolo rosso. Ma nessuno ha fatto i conti con il giovane tedesco di Heppenheim, che vince in Brasile riportandosi nella scia dei due (aiutato anche dalla safety car) e ad Abu Dhabi approfitta dei loro guai per superarli entrambi e aggiudicarsi il suo primo titolo. Alonso e Webber, invece, sono costretti a navigare nelle retrovie per errori di strategia e per un’uscita di pista nel caso dell’australiano e devono arrendersi al più giovane Campione del mondo della storia.

Andiamo indietro di 2 anni: come non dimenticare il famoso titolo perso all’ultima curva da Felipe Massa a Interlagos? In quell’anno la Ferrari, neoiridata con Raikkonen, spera in una facile conferma di Iceman, ma deve vedersela con un compagno di squadra in stato di grazia che tenterà di sopravanzarlo, riuscendoci, e con un Lewis Hamilton che, libero da Alonso, sembra avere tutte le carte in regola per lanciarsi alla conquista del titolo. Il mondiale inizia nel segno dell’inglese, che vince a Melbourne, ma entrambi i piloti della Ferrari sono intenzionati a dare battaglia. Massa e Raikkonen, infatti, vincono le 3 gare successive e tutto fa pensare che il Mondiale si risolva in una lotta in famiglia tra loro due. Con il proseguire della stagione è chiaro, però, che è Massa il pilota di punta della Ferrari, anche se Raikkonen non perde occasione per legittimare il numero 1 sul musetto conquistato l’anno prima. Succede in Ungheria, dove gli finisce davanti (Felipe sarà costretto al ritiro da un problerma al motore) e succede in Belgio, dove sarà Kimi a contendere la vittoria a Hamilton in uno spettacolare duello all’ultimo giro. La vittoria, però, andrà proprio al brasiliano dopo la penalizzazione dell’inglese per aver superato Raikkonen prima della linea del traguardo all’uscita della safety car. Ma i colpi di scena non sono finiti: a Singapore, Massa ha l’opportunità di allontanare Hamilton in classifica, ma a dirgli di no è un errore dei meccanici, che non staccano il bocchettone della benzina e costringono il brasiliano a perdere diversi secondi, cedendo la vittoria ad Alonso. Anche al Fuji Raikkonen finisce davanti a Massa, aiutando certamente la Ferrari a vincere il titolo costruttori, ma ostacolando di fatto il brasiliano. Il quale arriva alla gara di Interlagos sperando di fare quello che il compagno di squadra ha fatto l’anno prima, cioè vincere e sperare nei guai di Hamilton. Le vicende della gara, che si corre sulla pista viscida, sembrano sorridere al brasiliano, con l’inglese che fa molta fatica per risalire la china. Massa vince e la torcida verdeoro esulta con lui, insieme a tutto il muretto della Ferrari, ma all’ultima curva Hamilton supera Glock e getta il brasiliano nella disperazione per un titolo a lungo inseguito ma che è sfuggito per un nulla.

E per la serie delle delusioni rosse non poteva certo mancare Michael Schumacher, che avrà vinto 5 Mondiali ma ne ha persi 3 in modo abbastanza clamoroso. Il più recente porta la data del 2006, l’ultima stagione in rosso, quando si ritrova a fare i conti con la Renault di Fernando Alonso, che a inizio stagione sembra pressochè imprendibile ma che si trova costretta a subire la decisione di eliminare il cosiddetto “mass dumper”, il famigerato meccanismo che consente alla vettura di mantenere l’avantreno schiacciato a terra e di migliorare la percorrenza in curva. Schumacher, così, inizia un’incredibile rimonta (favorita dalla rottura del motore dello spagnolo a Monza) che porta al pareggio in Cina, con il tedesco leader della classifica per avere più successi dello spagnolo. Ma sarà la rottura del motore in Giappone a gettare nello sconforto i tifosi ferraristi e non solo e l’esultanza di Alonso non appena vede la Rossa numero 5 in fumo è evidente. L’ultima gara in Brasile, però, sembra tutt’altro che una formalità, con Schumacher che si lancia in un’incredibile rimonta per cercare la vittoria, ma il tedesco deve fermarsi al quarto posto, mentre ad Alonso basta arrivare dietro a Massa per aggiudicarsi il suo secondo titolo.

Schumacher avrà un’influenza non marginale anche nel titolo perso da Irvine nel 1999. Il tedesco, infatti, dovrà abdicare dalla corsa al titolo dalla gara di Silverstone, in cui sarà costretto a dare forfait per la frattura alle gambe, lasciando il testimone al compagno di squadra che si batterà principalmente con la McLaren di Hakkinen. L’irlandese ci crede fino alla fine, aiutato anche dal ritiro del finnico a Monza, e dal Gran Premio della Malesia può contare anche sul rientro del tedesco, che rientra già al massimo, firmando la pole position e cedendo la vittoria al compagno di squadra, che così si porta in testa. Le speranze e le attese diventano ancora più grandi sull’ottovolante di Suzuka, dove Schumacher parte ancora una volta al palo, con al suo fianco Hakkinen. Ma appena si spengono le luci rosse accade quello che i ferraristi non vorrebbero che accadesse: Schumacher fa pattinare le ruote e Hakkinen lo scalza, vince la gara e va a prendersi il suo secondo titolo. In Ferrari invece scoppiano le polemiche interne e Irvine verrà costretto a fare le valigie.

L’anno prima Schumacher riesce quasi a sovvertire un pronostico che vede la McLaren favoritissima per il titolo, riuscendo a infilarsi tra Hakkinen e Coulthard e riuscendo a tenere testa al finnico soprattutto nella parte centrale della stagione, dove vincerà 3 gare consecutive. Nemmeno l’incidente di Spa serve a fiaccare le speranze di Schumacher, che a Monza trionfa approfittando dei guai di Hakkinen, che regala la doppietta alle due Ferrari. Ma nell’ultima gara stagionale, che si corre a Suzuka, Schumacher sarà costretto a fare a meno della pole position conquistata per un problema al cambio che lo costringe a partire dal fondo. Hakkinen così ha via libera e regala il sigillo a Ron Dennis e Adrian Newey, vincendo la gara a mani basse, mentre il tedesco dovrà alzare bandiera bianca e ritirarsi.

Andando indietro di un anno, Schumacher deve fare i conti con Jacques Vlleneuve e, ancora una volta, con Adrian Newey, dando vita a un duello rusticano con la Williams del canadese, senza esclusione di colpi. L’espressione non è casuale e in questo caso è quanto mai indovinata, visto che sarà proprio una ruotata del tedesco a  firmare la sua condanna alla sconfitta nella corsa all’iride. Schumacher, infatti, a Jerez de la Frontera, dopo essere rientrato in testa dall’ultima sosta ai box vede Villeneuve che arriva all’interno, lo stringe alla frenata, gira il volante e lo colpisce. Nel contatto però ha la peggio perchè deve concludere la sua gara nella ghiaia, mentre il canadese procede al piccolo trotto, cercando di arrivare al traguardo. E ci riesce, chiudendo dietro alle due McLaren di Hakkinen e Coulthard. In classifica Villeneuve sarà seguito dal compagno Frentzen, visto che a Schumacher verranno tolti tutti i punti per la manovra da harakiri che commise ai danni del canadese.

Andando indietro di 7 anni, nel 1990, è la volta di Alain Prost, che arriva a Maranello con il numero 1 sul musetto ed è ben desideroso di portare il titolo in Italia. Ma dovrà fare i conti con il suo acerrimo rivale Ayrton Senna, che gli darà filo da torcere tutta la stagione, e con il compagno di squadra Nigel Mansell, già a Maranello, che farà uno sgambetto nemmeno tanto piccolo al francese all’Estoril, stringendolo sul muretto dei box al via e andando a prendersi la vittoria. Il duello va avanti tutta la stagione e si conclude con una gara di anticipo, a Suzuka, con l’epico scontro tra il brasiliano e il francese alla prima curva e Senna che vendica così la sconfitta bruciante dell’anno precedente e quello che ne seguirà sarà un gran vespaio di polemiche anche per la trattativa che Fiorio condusse per portare in Ferrari Ayrton Senna, che costerà la testa del direttore sportivo.

Anche il 1985 per la Ferrari è stata una stagione da dimenticare, con Michele Alboreto che pareva lanciato a essere l’italiano candidato a succedere ad Alberto Ascari nell’albo doro dei piloti iridati in Formula 1, ma a sbarrargli la strada ci penserà la cattiva affidabilità della 156/85, macchina perfetta dal punto di vista prestazionale ma che nell’ultima parte di stagione è stata vittima di diversi cedimenti, ben 5 ritiri consecutivi che consegnano il titolo ad Alain Prost.

Il 1982 è l’anno della 126 C2, la vettura che avrebbe consacrato definitivamente Gilles Villeneuve dopo i successi di Montecarlo e Jarama dell’anno prima. Ma a mettergli i bastoni tra le ruote ci pensa i compagno di squadra Didier Pironi, che a Imola ingaggia una lotta in famiglia sorprendendo lo stesso Villeneuve e buona parte dei tifosi ferraristi, e va a vincere la gara. Il canadese è su tutte le furie e l’espressione sul podio è emblematica, nemmeno Roberto Nosetto riesce a consolarlo. Parte la guerra e sul tracciato di Zolder va in scena il primo atto, o perlomeno dovrebbe. Già, perchè quel maledetto 8 maggio del 1982 Gilles, che aveva l’ottavo tempo, nel tentativo di avvicinare il compagno di squadra, perde il controllo della vettura. La sua 126C2 si impenna e impatta molto violentemente al suolo, mentre Gilles vola via, sbalzato fuori dalla vettura. Per lui non c’è più nulla da fare, morirà in serata. Per Enzo Ferrari è una mazzata durissima, il pilota al quale voleva bene più di chiunque altro, quello sul quale aveva concentrato le speranze per il titolo, non ce l’ha fatta. E con lui tutti i ferraristi e gli amanti della Formula 1 da quel momento in poi la guarderanno in modo un po’ diverso. Le speranze si concentrano su Pironi, ma anche a lui quella maledetta 126C2 riserva una brutta sorpresa: a Hockenheim anche il francesino è costretto a dire addio alla sua carriera da pilota dopo che in un incidente al Motodrom si frattura entrambe le gambe. Il testimone passa così a Patrick Tambay, che prenderà la numero 27 di Villeneuve e vincerà proprio la gara tedesca, ma a causa di un infortunio in palestra dovrà saltare il Gran Premio di Svizzera e fu tagliato di fatto fuori dalla corsa al titolo. Alla Ferrari andrà comunque il Mondiale costruttori, segno che, forse, con un pizzico di fortuna in più le cose avrebbero potuto andare diversamente.

E in questa carrellata non si può non menzionare il famoso anno di “Rush”, il 1976, quello del gran rifiuto di Niki Lauda a disputare la gara del Fuji. Ma andiamo con ordine. Lauda, forte del titolo dell’anno precedente, al via della stagione sembra imprendibile per qualsiasi avversario, anche per il compagno Regazzoni che gli fa da fedele scudiero. Ma a metterci lo zampino ci pensa la cattiva sorte e il terribile schianto del Nurburgring in cui la Ferrari 312T2 di Lauda finisce un una palla di fuoco. Lauda perde i sensi e viene trasportato in ospedale. Non appena rinviene il suo desiderio è solo uno: tornare in pista il più velocemente possibile. Fa di tutto e, alla fine, ci riesce; a Monza, infatti, di Ferrari schierate ce ne saranno 3, la 2 di Regazzoni, la 35 di Reutemann e, a sorpresa, la numero 1 di Lauda, che torna sorprendendo tutti con un incredibile quarto posto. Lauda riuscirà a tenere testa a Hunt fino all’ultima gara, appunto, quella del Monte Fuji, dove ad attendere gli sfidanti per il titolo c’è una pioggia torrenziale. Quella che indurrà Lauda a ritirarsi senza esitazioni, al secondo giro, cosa che scatenerà le ire di Enzo Ferrari e sarà tra le cause dell’addio dell’austriaco l’anno successivo, dopo che il Drake aveva affidato all’argentino il ruolo di prima guida.

Due anni prima tocca a Regazzoni la palma della sfortuna, dovendo cedere a Emerson Fittipaldi all’ultima gara negli Stati Uniti, dopo che entrambi si erano dati battaglia per tutto il corso della stagione. E se Fittipaldi ha dalla sua una maggiore propensione alla vittoria, la virtù di Regazzoni è quella di fare la formica e raccogliere quanti più punti possibile anche senza vincere, aggiudicandosi una sola gara, quella del Nurburgring, ma arrivando all’ultimo appuntamento con gli stessi punti di Fittipaldi. Al quale basterà approfittare dei guai dell’italo-svizzero e classificarsi quarto per portare a casa il titolo. E il resto è storia.

Ancora Ferrari e ancora Regazzoni 4 anni prima. Anzi, sarebbe meglio dire Ickx e Regazzoni;che hanno formato un team che avrebbe messo paura a più di qualcuno. Ma a guastare la festa rossa ci pensa un campione tanto veloce quanto sfortunato, voluto da sua maestà Colin Chapman: Jochen Rindt. Il quale ha l’onore e l’onere di inaugurare la fortunata serie della 72, una delle monoposto più longeve e vincenti della storia. E il giovane austriaco, dopo un inizio di stagione balbettante (tra cui il rocanbolesco Gran Premio di Spagna, che falcidia oltre metà dello schieramento), parte a razzo e infila 5 vittorie quasi consecutive. Saranno le ultime della sua carriera e della sua vita. Infatti, due gare più tardi ecco il terribile incidente nelle qualifiche del Gran Premio d’Italia, con uno schianto alla Parabolica che uccide sul colpo l’austriaco. Fu uno dei drammi più grandi nella storia della Formula 1, con un risvolto ancora più surreale di quello che si possa immaginare. Infatti, Ickx e Regazzoni, pur provandoci fino all’ultima gara, non riusciranno a insidiare il primato di Rindt, alla cui memoria verrà intitolato il Mondiale 1970. E forse, in un certo senso, è stato giusto così.

Andiamo indietro di altri 9 anni per trovare un’altra stagione che per la Ferrari si è trasformata in una tragedia, e questa volta non in senso metaforico. Enzo Ferrari aveva scovato un altro pilota sul quale riporre tutte le speranze per la conquista del Mondiale, 5 anni dopo Juan Manuel Fangio e 3 dopo Mike Hawthorn. Si chiamava Wolfgang Von Trips, che arriva in Ferrari proprio l’anno dopo a quello in cui Fangio conquista il suo quarto titolo a bordo della Rossa. Il 1961 sembra l’anno della consacrazione, quello in cui la Ferrari è pronta per dominare grazie allo “squalo”, ossia la 156, la prima a motore posteriore. L’invenzione degli inglesi, montata su una Ferrari, ha tutto un altro effetto e la scuderia di Maranello sorprende praticamente tutti. Con Von Trips corre, tra gli altri, anche Phil Hill; i due sono compagni e amici fuori dalle piste, ma quando indossano gli occhialoni si apre la bagarre e i due fanno letteralmente il vuoto. Ferrari punta sul teutonico, che sembra avere la meglio sull’americano. Fino a che accade l’irreparabile. Circuito di Monza, 10 settembre 1961; non passa nemmeno un giro e in prossimità della Parabolica si assiste a una delle scene più surreali e grottesche della storia della Formula 1: la Ferrari di Von Trips entra in contatto con la Lotus di Clark e diventa una scheggia impazzita, che squarcia le reti di protezione della tribuna e uccide 15 persone. Von Trips muore sul colpo consegnando così il titolo al compagno-rivale Phil Hill. La Ferrari non festeggia, anzi. Non partecipa, in segno di lutto al Gran Premo degli Stati Uniti, quello che avrebbe dovuto celebrare degnamente Hill, ma che invece ha dovuto chinare la testa di fronte alla tragedia di Von Trips.

Insomma, se ci aggiungiamo anche i secondi posti di Ascari nel 1951 e di Gonzalez nel 1954, notiamo che la storia della Ferrari è costellata oltre che da grandi vittorie anche da grandi sconfitte e, nella speranza dei tifosi che a Vettel vada meglio che in passato, il nuovo corso della Scuderia targato Marchionne-Arrivabene sembra intenzionato a non arrivare ad altre brucianti sconfitte, ma a nuove vittorie.

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