Cristian ButtazzoniF1Sport.it
12 ottobre 2015 – In questi giorni ricorre il 15. anniversario della prima vittoria mondiale di Michael Schumacher a bordo della Ferrari sul tracciato di Suzuka, un trionfo atteso da tutti i tifosi italiani e tedeschi, che sognavano, volevano e credevano nel trionfo iridato del tedesco, arrivato a Maranello per riportare la Ferrari ai livelli che le competevano sin dalla sua fondazione, a coronamento di una stagione pressochè perfetta per tutti gli uomini in rosso. Ora, a 19 anni di distanza, Sebastian Vettel sta provando a seguire le orme di colui che lo ha designato suo erede. Ma tra i due quanta vicinanza c’è e quanti sono i punti di distanza?
La storia dei due è simile ma non identica: Schumacher, infatti, ha anche un passato nelle gare di durata con la Mercedes, peraltro vincente, mentre la formazione di Vettel si è basata soprattutto sui monomarca, nei quali ha costruito la strada verso la Formula 1 e ha trovato le persone che hanno avuto un peso determinante nella sua carriera: Mario Theissen e Helmut Marko, che lo hanno lanciato verso i trionfi che tutti conosciamo. Schumacher, invece, è stato il frutto di un’intuizione di un talent-scout con un ottimo fiuto che risponde al nome di Eddie Jordan sfruttata magnificamente da Flavio Briatore.
Schumacher e Vettel, negli anni rispettivamente della Benetton e della Red Bull hanno creato intorno a loro un gruppo vincente, composto da un team principal e da un progettista carismatici e di grosso peso; peraltro, Byrne è stato considerato da molto l’anti-Newey. Detto questo, entrambi, all’epoca in cui i loro trionfi sono stati conquistati fuori da Maranello, non erano ben visti dal pubblico e dalla critica, tant’è che le loro vittorie lasciarono spazio a sospetti, soprattutto sulla regolarità delle vetture. Tutti dubbi spazzati via una volta che hanno messo piede a Maranello, accolti per risollevare le sorti della Scuderia.
Ma la situazione che i due si sono trovati di fronte è assai diversa: Schumacher dovette ricostruire un team da zero, ponendosi come il leader incontrastato del team e avendo carta bianca sui nomi da portare alla Scuderia, mentre Vettel si è trovato ad affrontare un gruppo comunque già collaudato, formato da uno staff di tecnici e personale di esperienza, una tradizione vincente costruita dal 2000 in poi e una Ferrari che si è creata con il tedesco e si è prolungata anche oltre il tedesco, con Raikkonen e Massa, oltre che con Alonso. Il tedesco di Heppenheim, diversamente dal connazionale di Kerpen, non ha influito se non in minima parte su quelli che dovevano essere iv nomi da portare a Maranello. Di certo, la similitudine più grande tra i due è stata quella, sin dal primo momento in cui sono arrivati a Maranello, di una volontà abbastanza ferrea di salire subito in monoposto e iniziare la raccolta di dati in pista, oltre a quella di essere dei catalizzatori di interessi. Diversamente d a Raikkonen e Alonso, però, Vettel e Schumacher – nonostante la grande pressione ricevuta – non si sono posti l’obiettivo di vincere da subito, ma di prendersi almeno una stagione di rodaggio cercando di riordinare le idee all’interno del team e razionalizzare le risorse. Cosa che sta dimostrando agli occhi della critica una grande umiltà e, forse, la capacità di aspettare il momento giusto per attaccare, mentre l’obiettivo di vincere subito affidato a Raikkonen e Alonso- con risultati contrastanti -ha portato, nel caso dello spagnolo, anche alla nascita di dissapori e polemiche interne al team.
Peraltro, i due sono noti per fagocitare i propri compagni di squadra: prova ne sono le reazioni di Webber sul trattamento a lui riservato dalla Red Bull nei 4 anni dei trionfi di Vettel (che lo hanno allontanato dalla Formula 1), la reazione dello stesso Vettel nel 2014 alla straordinaria stagione di Ricciardo, l’atteggiamento speculare di Schumacher nei confronti di Eddie Irvine nel 1999, quando stava per conquistare il titolo mondiale. E poi, come non dimenticare il famoso “Let Michael pass for the Championship!” urlato da Todt a Barrichello a Zeltweg nel 2002, al quale il brasiliano obbedì sulla linea del traguardo? Però il rapporto di Vettel con Raikkonen (ultimo iridato con la Ferrari, ndr) potrebbe rivelarsi pericoloso nel momento in cui, come nella gara di Sochi, i due si trovino a duellare nel corpo a corpo, visto che il finlandese difficilmente cede sebbene il tedesco viene identificato come il caposquadra. Peraltro, Vettel pare digerire male le situazioni in cui si ritrova costretto a lottare nelle retrovie, nelle quali invece Schumacher ha costruito gran parte della sua reputazione di fuoriclasse.
C’è solo da sperare, per i tifosi ferraristi, che nel caso in cui i risultati sperati non dovessero arrivare la prossima stagione, o meglio ancora quella successiva, non si ripresenti la stessa situazione e le stesse polemiche che hanno portato all’allontanamento di Alonso alla fine del 2014 e di non perdere l’investimento su un pilota che, al netto di tutte le polemiche che ci sono state nel corso di questi anni sulla regolarità della Red Bull, si è comunque sempre dimostrato velocissimo, sia in prova che in gara, messo sotto contratto con la ferma convinzione di tornare al successo. Di certo, l’eredità che è chiamato raccogliere il tedesco di Heppenheim è molto più pesante di quello che si possa pensare e, forse, prima di fare paragoni sin troppo scontati, la cosa meriterebbe un’analisi un po’ più approfondita per scoprire che i punti di contatto tra i due saranno tanti, ma ci sono anche molte caratteristiche che li rendono diversi tra loro.
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F1 Vettel-Schumacher: sono davvero così vicini?F1Sport.it - F1 Formula 1 F1 Tecnica F1 News Team Analisi