FabLab: La fabbrica che costruisce l’immateriale

Creato il 05 ottobre 2011 da Giorgiofontana

Enrico Bassi, è la mente lucida, Davide Gomba, il sugggestionatore di incroci, Lorenzo Romagnoli, il realizzatore delle visioni.
Ma tutti insieme sono FabLab Italia.I ragazzi di FabLab li ho incontrati il mese scorso nella loro bottega nel cuore delle Officine Grandi Riparazioni annidati in quella Stazione Futuro il cui slogan è ‘Qui si rifà l’Italia’.
Il padrino di Stazione Futuro è quel Riccardo Luna che, nella sua direzione di Wired Italia, aveva coltivato quella bella scena di speranza nel futuro per un Italia che si rinnovi continuamente guardando al di là dei suoi confini nazionali e che si lasci contaminare dagli indiani, dai cinesi, dagli albanesi e da tutti i cittadini del Mondo che sono open mind e open source.
Un Italia che non piace a chi crede che mischiare sangue o idee sia sacrilego, che restaono fermi nella palude del conformismo e della retorica nazionale.
Una bella sfida per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità nazionale, che infatti stanno celebrando le divisioni di un Italia vecchia e senza futuro, perchè compressa nei suoi confini antichi.

Gli altri padrini di FabLab sono Massimo Banzi, il creatore di arduino.cc, una piattaforma hardsoft open source, rilasciata su licenza Creative Commons.
Con Arduino.cc è possibile interagire con il mondo esterno dotandola di sensori e sfruttando il suo framework basato sulla tecnologia di pattern di retroazione. Qualcosa di molto complesso che però porta a risultati visionari come quello di trasformare l’immateriale in oggetti.

EnricoBassi mi viene a prendere alla reception,somiglia al miglior Garzelli quello che vinse il Giro d’italia, con la stessa pazienza di chi ha di fronte un non-ingegnere come una salita nuova e la determinazione di chi vuole tagliare un traguardo incurante della polvere della strada come della fresa a controllo numerico.
Un ottimo public relation men, un ottimo divulgatore e un ottimo coinvolgitore di visioni. E’ il coordinatore del gruppo.

Lorenzo Romagnoli e Davide Gomba sono al tavolaccio di lavoro pieno di quel’ordinato disordine tipico dell’ingegnere elettronico.
Mi viene in mente lo stereotipo del gruppo di nerd, uno solo che socializza e gli altri che si confondono dietro lo schermo del notebook per evitare di incrociare sguardi forieri di conversazione. Mi sbaglio non è così.
Davide ha le idee chiare su come può funzionare l’economia open source, una forma collaborativa tra l’artigiano ed il design e la sala macchine creativa, attraverso tanto la rete, quanto gli incontri reali tra persone, in cui la diffidenze verso un mondo altrove, quello nel cloud computing, si smaterializza appena prende forma un oggetto alla stampante tridimensionale.

Gli incontri reali nel FabLAb di corso Castelfidardo a Torino sono molti, i più divertenti sono quelli con i nativi digitali per i quali è assolutamente normale che un file si trasformi in un giocattolo. Molto più complesso per loro è essere consapevoli da dove provenga l’uovo che la mamma compra al supermercato, ma questa è un altra storia.
Forse anche le uova potranno essere create da Facebook un giorno.

Di FabLab me ne parla, qualche giorno dopo, anche Derrick De kerchove che racconta come abbia conosciuto il suo attivatore, Neil Gershenfeld e di come ne sia stato impressionato tanto da definirlo un genio secondo solo a Marshal McLuhan.
A Derrick piace l’idea che l’internet degli oggetti sia l’inevitabile futuro della conoscenza connettiva dentro la quale idee e materialità renda la smaterializzazione negropontiana soltanto uno stato latente, una fase per gli esseri umani che dopo essere stati inglobati nel bit ritornino reali ma diversi, partoriti dalla Grande Madre Virtuale, la balena di Collodi.
Quel Pinocchio 2.0 di cui ha parlato negli ultimi tempi.

FabLab è il punto terminale di una rete di creatività e di idee.
Le idee diventano progetti immagazzinati come matematiche cad, specifiche tecniche che possono venire riutilizzate e riprogettate, ridotte nelle proporzioni o convertite su scale più ampie, assemblate con le logiche del mashup, ridisegnate e stravolte magari solo per sperimentare un’intuizione del momento.
La bottega implementa in stampi e prototipi il lavoro immateriale dal web e lo riconnette al mondo reale della produzione.
La bottega produce al momento e laddove serve produrre. I prodotti non sono distribuiti se non nella loro dimensione di modello virtuale.
Viene riciclata la plastica, viene riusata la materia prima e quindi il modello economico è anche sostenibile.
Quello che si faceva nel Rinascimento, la giornata bifronte di un maestro leonardesco tra calcoli e disegni e la falegnameria, e tante altre menti che studiano e si appassionano.
Forse sarà questa la frontiera della rete futura, più umana, più slow web.


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