Fabrizio Caròla, architettura in armonia con l’Africa

Creato il 21 marzo 2012 da Cafeafrica @cafeafrica_blog

L’architettura legata al luogo e pensata con le risorse umane, materiali e culturali di quello specifico ambiente lascia un’impronta positiva sul territorio. Fabrizio Caròla, architetto di origini napoletane, ma adottato dall’Africa, è di certo un esempio di questo tipo di approccio costruttivo e progettuale.

Prima di costruire è necessario conoscere profondamente il luogo in tutte le sue sfaccettature per arrivare a comprendere tutti i dati del luogo: il clima, le condizioni sociali dei futuri utenti, i materiali e mezzi disponibili, la qualità della mano d’opera, il budget disponibile, il tempo di consegna.

In Africa, per conto di organizzazioni non governative, Caròla conduce una serie di ricerche sull’abitare, sull’edilizia scolastica, sulle tecniche costruttive tradizionali. La sua attenzione è rivolta prevalentemente alle relazioni tra materia e luogo. Indaga il ‘luogo’ nella sua ‘fisicità materica’. L’architettura spontanea, l’architettura senza architetti costituisce uno dei suoi riferimenti privilegiati: agendo sui significati che entrano nella ‘costruzione delle forme’ Caròla mette a fuoco un repertorio di soluzioni, di segni, che ricorrono all’interno del continuo divenire della tradizione.
In molte zone dell’Africa è la terra il materiale più economico e facilmente reperibile.
 La terra, sia cruda sia sotto forma di mattone cotto, è il materiale privilegiato. Un materiale che lavora bene a compressione, facilmente reperibile e producibile in sito. Volte, archi e cupole rispondono efficacemente ai criteri di economicità e rapidità di esecuzione.[...] FC: Mi piace costruire in terra cruda, è un materiale molto duttile perchè il mattone e la malta sono fatti della stessa terra, per cui si saldano e si fondono generando un monolite che può essere anche scolpito. Non sono però un fanatico della terra cruda: la uso quando giudico utile usarla. La terra cruda richiede manutenzione o protezione, perchè esposta alla pioggia fonde come neve al sole. Nelle regioni aride dell’Africa questo difetto ha minore importanza.
Tra le sue opere, il Kaedi Regional Hospital, in Mauritania, rappresenta sicuramente l’espressione più alta di un pensiero e di un agire ’sostenibile’. Con la sua struttura rispetta un’organizzazione degli spazi aderente alle necessità e ai costumi delle popolazioni locali.
Data l’abbondanza in sito di argilla di ottima qualità, Caròla opta una struttura monomaterica. I mattoni utilizzati sono stati prodotti in sito: due forni alimentati con pula di riso, abbondante in loco, hanno reso possibile la produzione di decine di migliaia di mattoni. Quest’intuizione gli consente di realizzare una struttura molto complessa con un sistema a bassissimo impatto, con una positiva ricaduta anche sulla economia locale: il 75% delle risorse utilizzate sono state investite in sito. [...] FC: Kaèdi è una piccola città della Mauritania. L’Ospedale è stato progettato come estensione del piccolo ospedale esistente realizzato dai francesi ancora ai tempi coloniali. Durante la mia indagine preliminare, visitando le vecchia struttura, fui colpito dalla confusione creata dalla presenza permanente delle famiglie dei pazienti che intralciavano i movimenti dei medici e degli infermieri. Interrogati, i medici mi risposero che l’assistenza dei familiari era indispensabile, avendo constatato che questa presenza continua dei parenti contribuiva alla loro guarigione. Fui molto toccato da questa informazione e posi questo dato, che ho chiamato famiglio-terapia, alla base del nuovo progetto. Dopo molte riflessioni e tentativi pensai di fare “esplodere la pianta” e, invece di un ospedale compatto, realizzare un edificio aperto che permettesse alle famiglie di accamparsi in prossimità delle camere di degenza. Relativamente alla scelta del materiale e della tecnica costruttiva adottata, fui condizionato dal fatto che a Kaèdi come in tutto il Sahel il materiale più abbondante e più economico è la terra. Il legno è raro e usarlo significava contribuire alla desertificazione in corso. Il cemento armato è costoso, perchè viene importato, e poi non ha prestazioni adeguate a quelle condizioni climatiche. Scelsi dunque come materiale di base la terra, confezionata in mattoni alla maniera tradizionale. Nella tradizione però il mattone viene utilizzato semplicemente essiccato al sole perciò è molto vulnerabile alla pioggia e richiede una manutenzione costante. Ridurre il più possibile le manutenzione garantendo nel contempo prestazioni efficienti nel lungo tempo mi indussero alla decisione di utilizzare mattoni cotti, al fine di renderli resistenti all’acqua. Restava però il problema della produzione in sito dei mattoni e della loro cottura. Una risaia di 600 ettari, più uno stabilimento cinese per la pulitura del riso, producevano a Kaèdi, in grande quantità, riso, crusca e pula. Quest’ultima, non commestibile, si ammucchiava inutilizzata a disposizione del vento. Dopo un certo numero di tentativi, riuscii a creare un forno semplice ed economico in terra cruda, realizzabile con la mano d’opera locale, che permetteva di bruciare efficacemente la pula di riso ottenendo una temperatura fino a 1200 gradi. Per la tecnica costruttiva, avendo scartato legno e cemento a vantaggio del mattone, non restava che l’utilizzo delle strutture curve: archi e volte.
L’uso degli archi e delle volte è una costante presente nell’architettura di Caròla.
Nei paesi del Sahel (la zona dell’africa compresa fra il deserto e la foresta) la mano d’opera è abbondante, sotto-occupata e a basso costo; per contro i materiali moderni, come il cemento e il ferro, sono importati e perciò costano molto e implicano la fuoriuscita di moneta pregiata, mentre l’uso del legno contribuisce alla desertificazione. La terra, materiale abbondante e a costo quasi nullo, sotto forma di mattoni cotti o crudi, è il materiale più economico e diffuso. Per utilizzare il mattone o la pietra anche in copertura, in sostituzione del legno, ferro o cemento, bisogna ricorrere necessariamente alle strutture compresse e cioè: volte, archi e cupole. [...] Queste strutture hanno vari vantaggi: sono economiche, di facile e rapida esecuzione anche per una manodopera non qualificata e si comportano meglio del cemento armato in difficili condizioni climatiche.
L’incontro con l’architettura della tradizione africana è stato frutto di varie fasi:
1) tra il ‘61 e il ‘63 sono stato impegnato in Marocco con un incarico di urbanista: sistemare le agglomerazioni rurali.
2) L’incontro con l’Africa nera, sub-sahariana, è avvenuto in Mali, nel 1971: vi ero andato non con un incarico di architetto ma di direttore dei lavori per la costruzione del nuovo molo e di alcuni edifici del porto fluviale di Mopti. Lì ho scoperto e studiato l’architettura sub-sahariana, frutto di un adattamento millenario alle condizioni locali, e ho cercato di oppormi al disastro culturale provocato dall’immissione cieca di modelli di architettura nord-occidentale.
3) Nell’81, in Mauritania, lavorando per l’ADAUA , sono venuto a conoscenza del sistema “compasso” per la realizzazione delle cupole. L’ho subito adottato, modificandolo e adattandolo alle esigenze del mio progetto. FC: L’Africa mi ha sempre attirato e non so perché, ma nello specifico mi ha dato l’opportunità di esprimermi liberamente: nel bene e nel male, ma libero.
L’Africa non è ancora oberata da norme, articoli, commi, divieti, che opprimono la nostra vita e la nostra naturale creatività. Sappiamo benissimo che tutte queste normative servono a proteggere la collettività dagli abusi sul territorio, ma chi giudica?
Tratto da: Memorie di un architetto col mal d’Africa. Fabrizio Caròla a colloquio con Luigi Alini

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