Tanta ricchezza informativa fa da contraltare all’incredibile “leggerezza”, al limite dell’elogio servile, con la quale gran parte della stampa italiana ha delicatamente glissato sulle peggiori pagine della nostra storia nel momento in cui, morto Andreotti, sarebbe stato imperativo un bilancio non formale della sua carriera politica. C’è voluto “Il Post” di Luca Sofri perché venisse ripubblicata – con scarsa cura per i refusi – la durissima pagina del Memoriale in cui Aldo Moro, dalla galera brigatista, tracciava un ritratto a lettere di fuoco della statura politica e morale dell’ex amico di partito [...].
Se le date hanno un significato, il memoriale-Ciolini compare a sette mesi di distanza da un celeberrimo editoriale vergato di proprio pugno da Bettino Craxi, nel quale il segretario socialista paragonava Gelli a «un attivissimo arcidiavolo, un Belfagor dalle mille risorse, dai mille contatti, intese, dossier, trappole e anche ricatti». Insomma, una specie di «grand commis dell’organizzazione, […] un uomo molto abile, una volpe, ma non un capo […]. Belfagor resta una specie di segretario generale di Belzebù. E se c’è Belzebù, ognuno se lo potrà immaginare come meglio crede, sforzandosi di dargli una fisionomia, una struttura, un nome» (Belfagor e Belzebù “Avanti!”, 31 maggio 1981; Divo Giulio, p. 139). Come se all’io so (l’identità di Belzebù) si volesse rispondere con un anch’io so (del conto aperto dal tuo uomo Larini a Lugano).
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