Fäk Fek Fik: quando il teatro diventa deflagrazione interiore | Fringe Festival 2015

Da Riflessialmargine
« Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere. » - Stendhal -

Come certi fenomeni astronomici rari, capita che anche nel firmamento teatrale a volta si produca una reazione chimica, una collisione tra varie forze, vari pianeti, asteroidi, comete e forze oscure e misteriose. Questo raro impatto produce un evento dalle conseguenze a volte disastrose, ma decisamente affascinanti. I corpi hanno seguito ellittiche traiettorie nella variegata galassia teatrale, fino ad incontrarsi, collidere, sprigionando energia atomica. Le forze in gioco sono quelle di Dante Antonelli, ideatore, regista, quelle di tre attrici portentose quali Martina Badiluzzi, Arianna Pozzoli e Giovanna Cammisa, quello della drammaturgia di WERNER SCHWAB e de "Le Presidentesse", l'ambiente sonoro conturbante di Samovar. Una collisione avvenuta forse anni luce da qui e solo ora ne cogliamo i bagliori: Fäk Fek Fik è il risultato stravolgente di questo forte impatto. 
E' domenica, ci aggiriamo come fantasmi tra i giardini di Castel Sant'Angelo dove si svolge il Roma Fringe Festival; la scelta è tra Palco A, Palco B, Palco C. Si attende lo spettacolo delle 22.00 e siamo indecisi tra Panic, una performance di teatro danza e Fäk Fek Fik. Alla fine optiamo per quest'ultimo. Forti di brucianti e pluriennali esperienze, non ci accomodiamo con troppe aspettative, anzi, c'è persino scetticismo perché tante volte titoli e sinossi accattivamenti, dietro la patina lucida di un'affabulazione pubblicitaria, ci hanno restituito ricerche deludenti, tanto rumore e poco in tasca da portarsi dietro come bagaglio di emozioni: "fuffa". Ignoravamo ancora che ciò a cui avremmo assistito ci avrebbe sconvonto e coinvolto così profondamente, tanto da ridisegnare un nuovo equilibrio nel nostro universo interiore.Questo lavoro, nato dalle ceneri de "Le Presidentesse" di W. Schwab, ovvero laddove "Le Presidentesse" finisce e con la stessa violenza s'incunea nella fragile tela che protegge la contemporaneità e la squarcia ripetutamente, con esasperata, cinica, urlata energia. Tre leonesse, i loro artigli, parole che escono come fendenti, affilate da una drammaturgia spietata: un coltello su cui non c'è impugnatura, ma solo lama e stringiamo forte per ferirci le mani facendo defluire il composto fluido del nostro sangue, l'urlo di una follia generazionale che non trovava valvole di sfogo. Il tappo è saltato, scivoliamo, non c'è voglia alcuna di trovare un comodo appiglio, Fäk Fek Fik scava una pozzo profondo nelle emotività contemporanee e noi tutti ci tuffiamo in caduta libera. Gratta la scorza ruvida di una modernità assuefatta dagli stimoli, impigrita, resa oggetto dai campanelli di un'esistenza globalizzata e stantia, imbruttita: ne fa cumuli di macerie da incendiare. Una ricerca forsennata tra le piaghe del contemporaneo, non un azzardo - come molti altri lavori - ma uno studio pesato in ogni suo aspetto, drammaturgico, recitativo, scenico. Non c'è assolutamente niente - a parte tre tazze e tre buste di plastica - ci sono tre corpi celesti attoriali, luminosi, accecanti, che ruotano magistralmente in quell'universo che è il palco, da soli bastano a riempire le crepe scricchiolanti del precariato, del consumismo, della green economy, delle relazioni, demolendo le pareti già pericolanti con una recitazione asciutta, aggressiva, senza respiro, che attiva il detonatore e non lascia scampo. Un successo meritato, sentiamo le mani prendere fuoco dalla forza con cui le battiamo, ma è una necessità incontrollabile, nasce da dentro, come quella di altri, qualcuno si alza in piedi. Tre corpi che ci han messo a nudo, che si son spogliati spogliando noi tutti. Cestinati, azzerati, riciclati e rinnovati. Dipendenza e assuefazione. Un piccolo capolavoro - non crediamo di esagerare - che rivedremo con piacere più e più volte. Un prodotto esplosivo che in tutto e per tutto si eleva come uno dei favoriti per la semifinale di sabato del Roma Fringe Festival e crediamo anche di più, perché vi è poco spazio alla soggettività, c'è una quasi concorde bellezza oggettiva in questo lavoro. E qualsiasi cosa vedremo dopo Fäk Fek Fik, avrà il peso di doverci far cessare le vibrazioni e il senso di vertigine che ancora non si attenuano. Lacerante. Viscerale. Da vedere - e rivedere.
Matteo Di Stefano &version;&appId;

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