Fallacie logiche e cattivi argomenti. L'Irrationality Cup a Marco Cubeddu del Secolo XIX

Da Anacronista
Come promesso, segue una breve analisi delle fallacie logiche contenute in un'argomentazione complessa. Dove, naturalmente, i termini "argomentazione" e "complessa" sono  almeno in parte inappropriati: l'articolo prescelto è infatti un tentativo (mancato) di sostenere una tesi; ed è complesso solo nel senso che è composto da molte proposizioni e non è, dunque, schematico come gli esempi analizzati nel precedente post.
Oggi assegniamo la Irrationality Cup a Marco Cubeddu, distintosi per la notevole quantità di fallacie inanellate con disinvoltura in poche righe, nel noto giornale Il Secolo XIXL'articolo è una risposta alle contestazioni (segnalo per esempio questa) ricevute per un precedente inconsistente post di Cubeddu, dal titolo Ragazze in shorts, vi siete viste?.
Ora, so bene che è facile prendersela con chi non è in grado di esprimere un pensiero compiuto di senso. Sono sicura che chi abbia un po' di sale in zucca non abbia bisogno di questo post, e sappia riconoscere da sé le sciocchezze contenute negli articoli di Cubeddu. Tuttavia, lo facciamo esclusivamente per allenarci a riconoscere le fallacie contenute negli argomenti sostenuti nel dibattito pubblico. Oltre che - sia detto en passant -  perché è dannatamente divertente. Mi scuso se sarò prolissa: ma le fallacie individuate sono veramente tante.
Ci limiteremo a valutare l'articolo dal solo punto di vista della "logica" informale. Schematizzeremo le premesse e le conclusioni del testo di Cubeddu e le valuteremo sia isolatamente che nei loro nessi.
Testo e analisi.
1] Quello che distingue gli esseri umani dagli altri animali è il lavoro. 2] Cioè, modificare la natura secondo un piano prestabilito. 3] Credo, in questo senso, di aver lavorato bene. 4] Lo scopo di “Intransigenze”, non troppo mascherato, era quello della polemica. 5] Missione compiuta. 6] Il tono delle critiche e degli insulti che ho ricevuto è classico del moralismo al contrario.
Le premesse da 1 a 6 convergono nella conclusione: 3] Ho lavorato e l'ho fatto bene.
Le premesse 1] e 2] sono assunte a sostegno della tesi che, scatenando una polemica, Cubeddu avrebbe contribuito a realizzare ciò che distingue gli esseri umani dagli altri animali, e cioè lavorare. (Per il principio di carità eviteremo di attribuirgli l'insostenibile tesi che gli esseri umani non siano animali).  
Il "lavoro", secondo le premesse poste dallo stesso autore, avrebbe i seguenti requisiti:
A) realizza un piano
B) modifica la natura.

Ora, il "lavoro" di Cubeddu sembra essere dotato del requisito A ma non del requisito B. Il piano (requisito A) era scatenare una polemica.Tuttavia, non è chiaro come, con questa polemica, egli avrebbe "modificato la natura", requisito B.
In questo primo periodo del testo, dunque, la tesi che si voleva sostenere è che l'autore ha lavorato.La conclusione "ho lavorato", tuttavia, non segue dalle premesse; perché non sono soddisfatti tutti i requisiti. Attenendoci a quanto detto dallo stesso Cubeddu, dalle sue premesse segue che egli non solo non ha lavorato, ma non si è neanche distinto come essere umano. Quanto alla proposizione 6], essa è viziata da vaghezza semantica. Non è cioè chiaro cosa egli intenda con "moralismo al contrario".
Ma andiamo avanti.
1] Molti si sono levati in difesa degli shorts ma nessuno dei contestatori li indossa. 2] Nessuna delle persone con cui ho avuto il piacere di parlare in questi giorni, uomini e donne, li indossava. 3] Avvocati, casalinghe, dirigenti, tassiste, professoresse, giornalisti, medici (uomini e donne) che frequento non mostrano, solitamente, un terzo delle loro pudenda.
In realtà, le proposizioni potrebbero essere ridotte tutte a un unico "argomento", ma le dividiamo perché numerandole emergono meglio le fallacie in esse contenute.  1] Fallacia ad hominem nella variante tu quoque, che significa "anche tu". Sposta il discorso sulle persone degli interlocutori, senza toccare neanche per un secondo l'argomento, affermando che essi/e, nei loro comportamenti, non agirebbero secondo le tesi che essi/e stessi/e sostengono. Questa è una tipica fallacia di rilevanza, in quanto non è stabilito nesso alcuno tra le premesse e la conclusione. A sostegno della premessa 1], segue la premessa 2]. 
Il campo si restringe. I destinatari del "tu quoque" sono solo le persone con cui l'autore ha avuto il piacere di parlare in questi giorni; non, dunque, tutti i contestatori. Tuttavia cambia poco, dacché il fatto che nessuno dei contestatori indossi gli shorts continua a non essere un argomento. Come ci insegna la logica, e come ben mette in luce la fallacia tu quoque, non c'è alcun motivo per ritenere non validi gli argomenti degli "avversari" se essi non mostrano di applicarli, poiché questo non toglie alcuna validità agli argomenti stessi.
3] Il campo si allarga di nuovo. Nel complesso siamo di fronte a un (mancato) argomentare che potremmo definire "a fisarmonica". Si elenca cioè una serie di figure professionali, non più solo afferenti al sottoinsieme "persone con cui ho avuto il piacere di parlare in questi giorni", bensì afferenti all'insieme "avvocati, casalinghe, ecc. che frequento". Di nuovo, cambia poco. Il campione analizzato a sostegno della validità della propria "tesi" sembra piuttosto vago e comunque resta inutile ai fini dell'argomento,  già viziato da fallacia, che nel caso della proposizione 3] è la fallacia ad populum, consistente nel fare appello a un luogo comune. Non è perché molte persone si comportano in un modo o in un altro che una tesi è corretta o meno. Ancora, manchiamo di prendere in considerazione l'argomento in se stesso, deviando sui comportamenti delle persone, per giunta campionate secondo un criterio molto debole: quello dei conoscenti, assurti a metro induttivo di giudizio. Si aggiunge poi un "solitamente", che attenua un po', finalmente, la pretesa induttiva dell'asserzione, ma che non toglie il tu quoque. Sembra inoltre esserci una fallacia induttiva da evidenza soppressa: basterebbe un controesempio per invalidare l'argomento, che comunque, ripetiamo, è già fallace. Ma Cubeddu non se ne cura, e imperterrito prosegue.
1] Da chi si fa la cresta e chi veste Armani, ciascuno comunica un’identità in cui si riconosce. 2] L’abito, qualsiasi cosa scrivano i sostenitori di una presunta libertà di pensiero, fa il monaco. 3] Ma il monaco, in questo caso, è quasi nudo. 4] Perché svestirsi se non per farsi vedere? 5] E cosa vuol far vedere, precisamente, chi si sveste, se non la parte che scopre? 6] Cosa dovrebbe comunicare un gluteo al vento? 7] Risulta a qualcuno che Einstein, Margherita Hack, Stephen Hawking, Rita Levi Montalcini, Maria Callas, Frank Sinatra indossassero pantaloncini inguinali? 8] Oggi è la moda dominante e c’è chi sostiene che assoggettarvisi sia un modo di esercitare la propria libertà.
Assumiamo che 1] il vestiario in qualche modo comunichi un'identità in cui ci si riconosce; assumiamo dunque che 2] (premessa "di rinforzo") l'abito fa il monaco; anche se non è detto che ciò sia sempre vero, che cioè ci si riconosca sempre nell'identità comunicata dal proprio vestiario. Accettiamo come interferenza retorica che 3]"il monaco in questo caso è quasi nudo".  Nella proposizione 4] si sostiene che "chi si sveste" violi le assunzioni delle premesse 1 e 2: il "gluteo al vento" "non comunica nulla", nessuna identità, mentre appunto la premessa sosteneva che il vestiario comunica un'identità in cui ci si riconosce. Fin qui, sembra esserci una parvenza di razionalità, nel senso che c'è un legame - sempre discutibile, certo - tra le premesse. Dopodiché, tuttavia, l'autore si perde fra i nessi inferenziali e li sconfinfera deliberatamente. Aspettavamo infatti gli sviluppi dell'argomento, che però non sono arrivati. 
Cubeddu preme l'acceleratore inferenziale e passa alla domanda retorica 7], che riportiamo di nuovo e che consideriamo come un'asserzione:
"Risulta a qualcuno che Einstein, Margherita Hack, Stephen Hawking, Rita Levi Montalcini, Maria Callas, Frank Sinatra indossassero pantaloncini inguinali?"
Questa è una bella e buona fallacia ad verecundiam: fa appello a delle autorità, di nuovo eludendo di confrontarsi con quello che dovrebbe essere l'oggetto del discorso. Si tratta di un'altra variante di argomento ad hominem.
Che Einsten, Frank Sinatra e Maria Callas non indossassero pantaloncini inguinali non è, da un punto di vista logico (e non solo, ovviamente), assolutamente un motivo per ritenere che sia immorale/scorretto indossare pantaloncini inguinali. Diciamo più esattamente che non è per nulla legato, in termini argomentativi, alle premesse precedenti. La proposizione 8] asserisce che "gli avversari" sostengono che la libertà consista nell'assoggettarsi alla moda degli shorts. E' qui preannunciata la fallacia che, nel finale dell'articolo, emergerà in tutta la sua prorompente irrazionalità: la fallacia dell'uomo di paglia.
Ma procediamo con ordine.
1] Si è liberi di fare tante cose, in questo mondo. 2] Ma non è detto che sia vantaggioso. 3] Credo che per le donne e gli uomini di domani, oggi ragazzi, sia importante soffermarsi a riflettere su quale tipo di persone vogliono diventare. 4] La consapevolezza è l’unica vera libertà. 5] Non credo, francamente, che si possa attribuire molta consapevolezza a chi si sveste facendosi oggetto sessuale per lo sguardo lupesco degli altri e pretende allo stesso tempo di non venir giudicato per come appare.
In 1] e 2] si dà temporaneamente per assunto che la libertà consista, come l'autore presume dicano gli avversari, nell'assoggettarsi alla moda dei glutei al vento. L'argomento con cui si contesta ciò è che non è detto che essere liberi sia "vantaggioso".
Tuttavia, la natura di tale vantaggio non viene  specificata. Di nuovo, siamo di fronte a una fallacia di vaghezza semantica. Quindi abbiamo 3]: "dobbiamo riflettere su chi vogliamo diventare". E poi una definizione di libertà in 4], non meglio qualificata come "consapevolezza", ma non abbiamo elementi per comprendere che tipo di consapevolezza venga postulata. Ancora vaghezza semantica, insomma.
La proposizione 5] non argomenta, ma si limita ad asserire. Perché "chi si sveste" non dovrebbe avere consapevolezza? A sostegno di ciò, abbiamo solo un misero "non credo". Abbiamo cioè un mero de gustibus, non un argomento.
L'unica spiegazione ci viene dall'assunzione che esponendosi allo "sguardo lupesco degli altri" non si abbia consapevolezza e che quindi non si sia liberi/e. Tuttavia, continua a non essere chiaro il perché. Di nuovo, si salta di premessa in premessa e di premessa in conclusione senza alcun nesso razionale. Premessa implicita al seguito della proposizione è che è giusto giudicare gli altri per come appaiono, e non si può pretendere il contrario. Il che è di nuovo solo asserito e non argomentato.
A rigor di logica, dovremmo dunque concludere che chiunque vesta in modo succinto non sia una persona libera, e lo faccia sempre in modo inconsapevole. Sempre a rigor di logica, ne segue che indossare per esempio un burqa comporti sempre il massimo della consapevolezza e quindi il massimo della libertà. Giungiamo a tale conclusione poiché viene stabilito un nesso fondativo tra "vestirsi succintamente" e "scarsa consapevolezza" e "mancanza di libertà".
Proseguiamo ancora con l'ultimo periodo (solo per stomaci forti).
1] Le femministe di oggi sono maschiliste inconsapevoli. 2] Difendono il particolarismo di genere per un insano bisogno di autoemarginazione. 3] Penso si dovrebbero abbandonare le fruste retoriche dell’ipocrisia e convenire sul fatto che la maggior parte delle persone che si sveste non ha molti altri strumenti culturali e fa dell’apparenza la sua sostanza. 4] Siamo di fronte a una grande opportunità: sentirci umani e abbandonare le ridicole logiche che vogliono dividerci gli uni dagli altri sulla base di differenze marginali (ieri i pigmenti della pelle, oggi i gusti sessuali o i generi di appartenenza). 5] Servirebbe una maggiore onestà intellettuale e una dissociazione da prebende e cadreghe che si poggiano su queste assurdità. 6] Non sarà facile. Ma, se non ora, quando?
Assistiamo qui all'irruzione di un nuovo interlocutore. Non più medici, casalinghe e avvocati che l'autore frequenta, bensì "le femministe", presentate come un blocco omogeneo e indistinto.
Sicché in 1] e 2] abbiamo una fallacia dell'uomo di paglia. Si "attacca", cioè, una tesi-fantoccio, un "uomo di paglia" costruito ad hoc, in questo caso che la tesi delle femministe consista in un "particolarismo di genere per un insano bisogno di autoemarginazione". 
L'uomo di paglia è una tesi attribuita, non una tesi "concreta" su cui confrontarsi. Serve a eludere gli argomenti, prontamente sostituiti da, appunto, un "uomo di paglia".
In 3] abbiamo un invito non argomentato: si invita, cioè, a "convenire" che molti fanno dell'apparenza la loro sostanza, senza "strumenti culturali"; ma non sappiamo il perché.
 Qui sembra esserci inoltre una fallacia da ignoratio elenchi. Nella premessa 4] cioè si sostiene il contrario di quanto sostenuto nelle precedenti premesse dell'articolo. Si ritiene che dovremmo "sentirci umani" lasciando perdere le differenze. Perché allora  ciò dovrebbe valere solo per "i pigmenti della pelle", "i gusti sessuali", "i generi di appartenenza" e non per le "apparenze", in questo caso l'abbigliamento e gli shorts? L'autore non è consapevole delle premesse (l'abito fa il monaco, ecc) e delle conclusioni che egli stesso pone (le differenze non contano); egli stesso, cioè, ha posto delle premesse che potrebbero autoconfutarlo. Ma non se ne accorge. 

 Congratulazioni!

Ci congratuliamo per la (non rara, per la verità) abilità di Cubeddu nel violare a più riprese le regole elementari della logica in poche righe e nel definire questa ardita operazione, perfino, un "lavoro" che lo distingue come essere umano dagli altri animali. Complimenti! PS: che Cubeddu abbia 25 anni non significa nulla - non continuiamo, per favore, con le fallacie (ad misericordiam) :)


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