Fallimenti: la Bellezza della Caduta?

Creato il 07 aprile 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Alessandro Puglisi 

In tempi di grandi difficoltà, da un lato, e presunta riedificazione, dall’altro, una raccolta di racconti che porta il titolo Fallimenti e, come orgoglioso sottotitolo: Cadute, collassi, colate a picco, ha qualcosa di sibillino e allo stesso tempo vintage. E, dato che in un volume cartaceo l’aspetto “oggettuale” ha una sua rilevanza, troppo spesso trascurata o snobbata, sarà anzitutto opportuno dire che questo volumetto, edito dalla giovane MalEdizioni e inserito nella collana i batteri, ha una veste di tutto rispetto, con il suo formato compatto 12×16 e un layout piacevole. Fallimenti porta scritto, in seconda e in quarta di copertina, «Tredici incauti scrittori sono stati stipati in un razzo e lanciati come novelli Gagarin alla conquista di uno spazio senza limiti: lo spazio della narrazione». Ed è proprio questo lo spirito che anima la raccolta di racconti: un gioco pseudo-futurista, come dimostra peraltro la bella citazione da Chlebnikov in epigrafe al testo.

Fra gli autori che costituiscono l’eterogenea “formazione” mandata in campo da Fallimenti, spicca un nome di grandissimo rilievo nella storia della letteratura mondiale: Arthur Conan Doyle. Il racconto che apre la raccolta, Fiasco a Los Amigos, nella traduzione di Delia Belleri, è infatti del celebre inventore di Sherlock Holmes. Com’è ovvio, non può esserci offesa per nessuno, se parliamo di questo, insieme alla brevissima “incursione” dell’eclettico Paolo Albani, Il tunnel senza uscita, come dei due migliori racconti inclusi in Fallimenti. Del resto, il primo dei due autori è conosciuto ai più, anche se in misura maggiore per i suoi gialli, e ahinoi, meno per la sua produzione fantastica, fantascientifica e d’avventura; mentre il secondo è, non crediamo di esagerare, una delle menti più vivaci e brillanti dell’attuale panorama culturale europeo. Il resto dell’allegra brigata vede età diverse, con anni di nascita che vanno dal 1955 al 1990, formazioni diverse, professioni diverse, dall’insegnante al bibliotecario all’«operaia dell’informazione». Inevitabilmente, la raccolta risulta all’insegna della varietà estrema. Per essere del tutto onesti, e rendere giustizia a un’operazione che definire tanto coraggiosa quanto spericolata ci sembra il minimo, diremo con chiarezza quali sono le “storie” che ci convincono di più e quali, invece, ci lasciano ancora qualche perplessità. Nel primo gruppo faremo rientrare, di certo, L’ultimo saldo di Armando Azzini, gustoso apologo della lotta alla società consumistica che, partendo come una qualsiasi critica di costume, neanche troppo originale, approda, in un crescendo di grande interesse, ad esiti a metà strada fra il cinema bis e la commedia slapstick; Oggetto di Nicolò Porcelluzzi, meta-racconto su scrittori esordienti, biografie singolari, lettere di presentazione e premi letterari dal dubbio valore artistico.

Quasi altrettanto convincenti sono L’uomo che volò dalla Tour Eiffel di Giovanni Agozzino, sulla grande labilità del confine tra eroismo e follia, I cinesi di Enrico Mazzardi, che riflette, con ironia e spregiudicatezza, sui grandi cambiamenti in atto nell’economia del pianeta, e Il missile del Papa di Marco Fulvio Barozzi, una sorta di ucronia/mockumentary su Sisto V e un suo «folle progetto». Nel gruppo dei testi meno convincenti, per esclusione matematica, rimangono 6 racconti: da Gas di Mauro Bellicini, fondato su un’idea non malvagia ma neanche originale, tuttavia penalizzato da uno storytelling poco sviluppato e da una scrittura poco uniforme, passibile di maggior cura, a Istruzioni per rendersi falliti di Patrizia Barchi e Tappa infelice di Nicola Fantoni, entrambi “occasioni perse”, il primo come ritratto del nichilismo da Anni Zero (o Dieci, ormai), il secondo quale brevissimo esempio di “dialettica sociale” ante litteram; infine, da L’armadio di Elena Sartori, fondamentalmente troppo breve e carente di costruzione drammaturgica perché si possa pervenire a un giudizio, a Marciapiedi di Fabio Bonetti, che prova a tracciare un quadretto di quartiere, con accenti già troppo spesso sentiti al telegiornale, per rappresentare qualcosa di nuovo. In definitiva, se consideriamo che il tutto è sempre più della somma delle parti, Fallimenti è classificabile come uno di quegli esperimenti, nel complesso buoni, sì, e che però, a fine lettura, autorizzano ancora a chiedersi: perché?


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