“FALSO ALLARME” di Marina Bellanti per "Wine on the road", quinto concorso letterario di Villa Petriolo
Da SilviamaestrelliBuona lettura del racconto “Falso allarme” di Marina Bellanti, segnalato per merito al quinto concorso letterario di Villa Petriolo “Wine on the road”!
Marina è nata nel 1977 a Bracciano (RM) ed abita ad Altopascio (Lucca). E laureata in Filosofia, con una tesi sulla “Felicità come creazione di valore nella filosofia di Tsunesaburo Makiguchi”.
Racconto “FALSO ALLARME” di Marina Bellanti
Lasciò scorrere il dito sulla cartina aperta, poggiata sul muro. La stazione era deserta, il display continuava a lampeggiare.
Il vento era troppo modesto per assaporarne il sapore. Ma nell’aria si leggeva dappertutto la sua scelta.
Il treno era sporco e portava il segno della città, lattine schiacciate nei cestini, resti di cibo colorato, giornali abbandonati tra gli spazi che separano gli essere umani dagli altri, ovunque.
Isola aveva solo i suoi ricordi in tasca e nient’altro. Se ne stava seduta, composta, dietro grandi occhiali da sole, inutili per la scarsità di luce e passati di moda da decenni. Il vestito nero che aveva scelto fasciava il suo corpo alla perfezione, una grossa cintura di stoffa dorata le stringeva la vita, i capelli morbidi e folti, opportuno scherzo del destino. Ora che si vedeva riflessa nel finestrino non riusciva a pensarsi una Signora, non riusciva a cancellare tutto il resto.
Nessuno sa cosa significhi davvero non esserci, in nessun luogo e non appartenere a nessuno.
Il capotreno entrò distratto e stanco. Era un uomo dall’aria per bene, che non vedeva l’ora di tornare a casa e riprendersi la propria parte di mondo.
“Biglietto” allungando la mano verso ciò che Isola gli porgeva.
“Eccolo” alzò la testa ma non si tolse gli occhiali e poi si accorse di colpo che quella era la prima parola che pronunciava da quattro giorni, la prima dopo aver agganciato il telefono ed aver promesso a Beatrice una risposta.
La piccola valigia ai suoi piedi le faceva pensare a quanto fosse cambiata, a quanto fossero distanti il suo zainetto dell’Invicta, i suoi scarponi da trekking e i calzini di lana pesante. Ma fuori tutto era rimasto immobile, maestoso, pieno di frutti. Isola aveva voglia di vero.
Il paese era avvolto nella luce prugna del primo tramonto che assaggiava da mesi. In città non si ha più tempo per certe cose, sono dettagli e si ammirano nei film “oh, ma guarda che bella fotografia, che direzione artistica, che spettacolo!”
Isola respirò forte come per prenderne il coraggio, per rubarne l’audacia e poi si diresse verso la strada, di nuovo.
“L’albergo che cerca è a cinque minuti da qui” la donna la guardava con fare cortese e le indicava la via coprendosi gli occhi con una mano, puntando l’orizzonte. “Sempre dritto, oltrepassi il fioraio, la lavanderia e una volta arrivata davanti alla farmacia deve girare a sinistra, c’è un ristorante, e subito dopo l’albergo, in verità è gestito dalla stessa famiglia, perciò può entrare anche dal ristorante. Non può sbagliare.”
Isola si ricordò di aver letto che le donne danno indicazioni più colorate, fanno riferimento ai negozi, alla realtà, descrivono ciò che vedono mentre gli uomini si tengono più sull’astratto prima a destra, seconda a sinistra, cinquecento metri e poi di nuovo a destra.
Il paese era ancora illuminato e di certo non era lo stare per strada ad allarmarla, neppure un po’.
Questa volta, al contrario, la strada la rendeva serena. Camminava in cerca di se stessa, i pensieri scivolarono lontano attraverso il fioraio, la lavanderia, la farmacia poi alzò gli occhi e lesse STRADA DEL VINO “perfetto” pensò Isola entrando nel piccolo albergo dove avrebbe dovuto dare insieme al documento anche altre spiegazioni.
Il mattino la accolse ridendo. Appese l’abito nero nel piccolo armadio di noce, dall’odore pulito. Indossò pantaloni comodi, una maglia verde e scarpe da tennis poi lasciò la camera tre, pareti ocra, aspetto caldo ed accogliente.
Il paese sembrava sonnecchiare, Isola diede ancora una rapida occhiata alla cartina e poi iniziò a camminare veloce, decisa, senza paura.
Oltre le case tutto sembrava ancora memore della passata stagione, i boschi all’orizzonte disegnavano un confine di luce verde, intensa. L’abbazia sulla collina e la vallata di filari pieni di frutti a disegnare geometrie scomposte e il rosso delle rose come romantiche lanterne, Isola respirò la vita, intensamente.
La cantina era stata ristrutturata e il viale polveroso lastricato di nuovo, tutto intorno erano stati sapientemente coltivati alberi di olivo. Il casolare dominava il vigneto.
“Buon giorno, benvenuta nella nostra Cantina, ci ha trovati con facilità?” indicò la cartina che Isola teneva in mano.
“Ho percorso la Strada del Vino, mi sono goduta il panorama. Sono venuta sul lago una sola volta quasi trent’anni fa e finalmente mi sono decisa a tornare” la voce, inaspettatamente, tremò.
“Allora ben tornata, qui siamo ancora abbastanza fortunati, il nostro vino ci aiuta a mantenere un po’ di verde e a far salire i prezzi delle nostre case alle stelle!” rise e poi con gesto rapido fece sedere Isola porgendole la mano:
“Mi chiamo Domenica e questo è il mio piccolo e grande tesoro” fece un gesto ampio che abbracciò le pareti di pietra. “Posso servirle la colazione?”
“Io sono Isola e non ho molti tesori ma prendo volentieri un caffè e una fetta di dolce alle rose, quello della casa” le strinse l’occhio e sorrise.
“Vedo che si è informata, bene bene bene, a qualcosa servono i soldi che spendiamo per tanta carta” rise ancora e sparì oltre il bancone.
Domenica era una donna energica e forte, lo si capiva dal suo sguardo vivace e da come si sentiva a suo agio con quei capelli rossi. Aveva mano grandi e piene di nodi. Era vestita con cura ma senza nulla di appariscente, era rassicurante.
Dopo la colazione le disse che nel pomeriggio avrebbero dovuto allestire un banchetto di nozze, seconde nozze, nulla di vistoso, poche decine di ospiti. Manzo, polenta e buon vino, ovviamente. Quattro ragazzi salutarono dal viale. “I miei due figli, sono i due più belli!”
Domenica istruì i quattro ragazzi sul lavoro da sbrigare; la sua voce doveva averli spaventati più di una volta, vista l’attenzione che le prestavano, ma si intuiva la bontà negli occhi, il rapporto speciale che avevano, così intenso.
“Quando ho deciso di occuparmene io, non potevi entrare senza un grosso casco in testa e senza il terrore che saresti uscita di qui solo con l’aiuto di una squadra di pompieri…cadeva a pezzi!” girò la lunga chiave nella fessura dorata e poi con un colpo sordo la porta della cantina si aprì lasciando che l’odore di umido, di legno, di frutta, di vino e di sacro sorprendesse Isola, incantandola.
La zona per la degustazione lasciva intravedere la cantina vera e propria alle spalle. “Ho dovuto fare tutto da sola, organizzare i lavori, seguire gli operai, cercare i soldi…ovviamente creare tanti debiti…grazie al cielo i miei figli mi hanno sostenuta ed aiutata ma sono diventata lo stesso un uomo, altrimenti sarei caduta, sa cosa voglio dire, questo mondo è a misura di maschio, anche se siamo noi a costruirlo e a mandarlo avanti!”
Isola fece domande e assaporò tutto quell’amore per le radici, per ciò che siamo; si ricordò di quell’unica volta che con suo padre aveva condiviso qualcosa, di quando lui le parlò della vendemmia, della spremitura, delle botti, proprio lì dentro trent’anni prima.
“In questa stanza si entra solo dopo tre anni dalla vendemmia, ma questa è la stanza più bella” rise di nuovo ”qui la fatica lascia spazio all’orgoglio, qui si fa la storia!” indicò i cartoni sigillati con lo stemma della cantina e tante bottiglie, piene di nobili bollicine.
Isola era seduta al tavolo, assaporava i profumi del vino, guardava oltre la staccionata, pensava a Beatrice e a tutti quei fogli da riempire.
Un uomo si fermò davanti e le sorrise. Stava fissando le sue mani. Isola sentì suonare forte il suo personale allarme, un altro uomo aveva capito e perciò sentiva il diritto di conquistare quella terra di nessuno, quell’isola di un mondo nuovo dalla quale strappare i frutti e gettare via il resto.
“Sono un mezzo uomo che forse diventerà una mezza donna e voglio solo finire il mio vino” ritrasse le mani e continuò a guardarlo negli occhi, meravigliata di se stessa, tremante.
Lui scrisse veloce poggiandosi sul palmo della mano e le passò il biglietto e un sorriso intenso e vero:
Sono sordo, mi piacciono le sue mani, mi scusi.
Falso allarme.
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