Fame da libri. Le estati di Monsieur Arthens (da “Estasi culinarie” di Muriel Barbery)

Creato il 05 agosto 2014 da Temperamente

Ho molti romanzi nel cuore, ma ce n’è uno in particolare che suscita in me emozioni e tantissimi ricordi. È un romanzo breve, un libretto piccolo dalla copertina morbida e non troppo vistosa, tanto che sullo scaffale di una libreria probabilmente passerebbe inosservato. Eppure il suo titolo evocativo e intrigante, così come il nome dell’autrice, costringono prima o poi anche il lettore più distratto a soffermarsi e a sbirciarci dentro. Sto parlando di Estasi culinarie di Muriel Barbery, primo romanzo dell’autrice che ha dato un seguito alla storia con il più conosciuto L’eleganza del riccio. Il protagonista è Monsieur Arthens, critico culinario di fama mondiale che in punto di morte a causa del suo cuore malandato ripercorre la sua vita di “sommelier gastronomico” alla ricerca faticosa e ininterrotta di un sapore che si diverte a nascondersi tra il palato, la lingua e la mente. Ogni occasione è buona per ricordare la sua infanzia, le vacanze con i nonni, i suoi primi lavori e naturalmente il cibo. Se potessi, pubblicherei insieme a questo articolo l’intero romanzo, ma ahimè sono costretta a fare una scelta. Qui parla delle sue indimenticabili estati in Bretagna. Ogni anno a fine stagione, i nonni affittavano una grande casa sulla costa per radunare tutta la famiglia. Durante quel mese di villeggiatura, il nonno sceglieva un giorno, che doveva essere il Gran Giorno, quello in cui si preparava la grigliata di pesce. Ecco l’emozionante descrizione, così precisa e minuziosa da immaginarla qui, davanti ai nostri occhi.

Le sardine alla griglia spandevano il loro aroma di oceano e cenere in tutto il quartiere. Dietro le piante di tuia che circondavano il giardino saliva un denso profumo grigio. Gli uomini delle case vicine erano venuti a dare manforte al nonno. Stesi su griglie enormi, i piccoli pesci argentati crocchiavano già al vento di mezzogiorno. Tutti ridevano, parlavano, strappavano bottiglie di vino bianco secco bello ghiacciato, poi finalmente gli uomini si sedevano e dalla cucina uscivano le donne con pile di piatti immacolati. Mia nonna prendeva con destrezza un pesce paffuto, ne annusava il profumo e lo metteva nel piatto insieme a qualche altro. Con i suoi occhioni stupidi mi guardava gentile e diceva: «Prendi piccolo il primo è per te! Acciderba, gli piacciono a questo qui, eh?». E tutti si sbellicavano dalla risate, mi davano pacche sulle spalle, mentre davanti a me approdava quel cibo prodigioso.

Non sentivo più niente. Fissavo l’oggetto del mio desiderio con gli occhi fuori dalle orbite: la pelle grigia e piena di bolle, solcata da lunghe striature nere, non aderiva nemmeno più ai fianchi che ricopriva. Il coltello incideva il dorso dell’animale e separava con premura la carne biancastra, cotta al punto giusto, che si staccava in lamelle ben sode senza opporre la minima resistenza.

Nella carne del pesce alla griglia, dallo sgombro più umile al salmone più raffinato, c’è qualcosa che sfugge alla cultura. È così che gli uomini devono aver preso coscienza per la prima volta della loro umanità, imparando a cuocere il pesce, confrontandosi con quella materia che a contatto con il fuoco rivelava al contempo una purezza e una selvatichezza intrinseche.

Queste immagini così vive, mi hanno riportato indietro nel tempo, a un’estate di quasi tre anni fa, in cui io e mio marito facemmo un piccolo tour dell’Andalucia. Ci fermammo per tre giorni a Malaga e proprio sulla spiaggia, in una giornata calda e soleggiata, dopo un tuffo nel Mediterraneo, pranzammo in un ristorantino che serviva come antipasto un piatto tipico della città, le alici alla brace. La locanda era spartana, c’era un gran via vai di camerieri e avventori, le braci ardevano prepotenti in un angolo del gazebo. Qualche minuto dopo l’ordinazione arrivò il cameriere con il nostro antipasto. Me le ricordo ancora, un piatto bianco in cui erano adagiati cinque piccoli pesci accartocciati e infilati nello stecchino di legno. Erano freschi, profumati e salmastri, impreziositi da granelli di sale grosso, pepe nero, prezzemolo fresco e olio d’oliva. Io e Claudio assaporammo il pesce ridendo spensierati come due bambini.

La ricetta di questo piatto è davvero semplice, è necessario munirsi però di una brace o un piccolo barbecue (ma una semplice piastra o una piccola griglia elettrica non sono certo una cattiva idea!).

Ingredienti per 4 persone:

800 gr di alici fresche

sale, pepe, olio extra vergine di oliva

Preparazione:

Passate le alici pulite e asciugate in un piatto con un po’ d’olio;

disponetele su una graticola che metterete sul fuoco;

cospargete di sale e pepe;

Dopo qualche minuto rigiratele.

P.S. Servitele ben calde

Se il libro vi ha incuriosito, date un’occhiata alla mia recensione qui.

Stay hungry

Marina


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