Fanny Price: l’eroina austeniana che non ti aspetti

Creato il 23 gennaio 2015 da Lizzys @lizzysylvia66
Riprendo e rielaboro qui una riflessione che ho esposto lo scorso 6 dicembre 2014 durante l'incontro del Jane Austen Book Club della biblioteca Salaborsa, in collaborazione con Jane Austen Society of Italy (JASIT), dedicato a Mansfield Park.
Per affrontare la lunga elucubrazione, consiglio un abbondante e robusto tè da colazione, nonostante l'ora pomeridiana, sostenuto da molti dolcetti...

C'era una volta l' Incompreso Austeniano, ovvero il romanzo (ingiustamente ma inesorabilmente) meno ricordato, meno letto, meno amato di Jane Austen, Mansfield Park, e la sua Eroina Non-Eroina (forse anti-eroina, o eroina riluttante?), Fanny Price, che si faceva rubare la scena dall'Antagonista Quasi-Eroina, o eroina mancata, Mary Crawford, in ogni pagina. La nostra Eroina Non-Eroina da due secoli era famosa per la sua inarrivabile virtù ed imperturbabile passività, e per un grave, inspiegabile difetto in una creatura che condivide il DNA letterario con l'intraprendente Lizzy Bennet o la solida Elinor Dashwood o la perseverante Anne Elliot: l'incapacità di diventare La Vera Eroina Austeniana, cioè il personaggio femminile principale tipicamente austeniano in cui ogni lettrice riesce immancabilmente ad identificarsi, fatto di autodeterminazione all'ennesima potenza, declinata in mille sfaccettature di personalità femminili. Le rarissime eccezioni a questa regola inesorabile, sparse qua e là, con molta (troppa) discrezione nel romanzo di cui Jane Austen l'ha resa proprietaria, non erano state sufficienti a recuperarle il credito di Protagonista degna della sua Creatrice ...

Eppure, a ben guardare oltre la sua presenza sulla pagina romanzesca, così fragile ed immobile, e a ben ascoltare oltre le sue parole, così parche e sommesse, quando arriviamo al "dunque" della vicenda, nel bel mezzo del romanzo, nel punto esatto in cui la sua dignità di essere umano viene messa in discussione... ecco, all'improvviso, che Fanny Price si trasfigura in Vera Eroina Austeniana. E solo pronunciando una semplicissima parola "magica": NO. Per ben due volte! - Un momento... Non ci ricorda qualcuno?

La mia recente rilettura di Mansfield Park, nell'anno del Bicentenario, è stata particolarmente propizia: per un intreccio di diversi gruppi di lettura a cui mi sono trovata a partecipare, ho riletto questo romanzo in contemporanea con Orgoglio e Pregiudizio. Ed ho scoperto che Fanny non solo non è così "diversa" da tutte le Altre Eroine Austeniane ma, addirittura, ha qualcosa in comune con la Campionessa, l'Eroina Austeniana per Eccellenza, Miss Elizabeth Bennet. Ma sempre a modo suo, s'intende.

Fanny Price mi destabilizza proprio come il romanzo che ella abita. Non so mai che cosa pensarne e, al tempo stesso, penso molte cose, la maggior parte delle quali sono contrastanti tra loro.
Mi disarma la sua ritrosia, forse innata ma di certo alimentata dal contesto in cui è costretta a crescere, sradicata ancora bambina dalla famiglia d'origine, povera ma con qualche barlume di umanità, e catapultata in una famiglia ricca ma con troppe miserie morali, dove tutti sembrano trattarla per ciò che è, una piccola schiava al servizio delle loro smanie di edificante carità.
In questo inizio così dickensiano, Fanny non trova nessuno che le mostri un po' di sana, sincera considerazione, a parte il giovane cugino Edmund - che la marchia a fuoco con un imprinting affettivo, che durerà tutta la vita, ma anche intellettuale, che plasma ogni suo pensiero:

Visto che era stato lui a formarle la mente e a guadagnarne l'affetto, c'erano buone probabilità che lei la pensasse allo stesso modo [...].
Cap. VII, trd. G. Ierolli

Per lei, cucciolo smarrito e sempre maltrattato, raccolto di tanto in tanto da una mano caritatevole, patisco. La fragilità fisica che la caratterizza nella prima parte del romanzo sembra il simbolo stesso della sua fragilità interiore. Talvolta, mi ritrovo nelle sue impennate di timidezza e di riservatezza, nell'incapacità di dare un'espressione socialmente approvata ai piccoli subbugli del cuore e della mente, nell'esitazione che la afferra quando vorrebbe dire, e inizia a dire, ma poi tace e preferisce riflettere soffrendo in silenzio - ad esempio, mentre rinuncia alle sue passeggiate giornaliere a cavallo in favore della spumeggiante Mary Crawford, mentre assiste al progressivo innamoramento di Edmund per questa nuova arrivata, mentre deve fare la fattorina sotto il sole per la cara Zia Norris.

Per lei provo empatia ma, di per sé, questo non può bastare a farne la MIA Eroina. Meglio: non riconosco in lei la Vera Eroina Austeniana.
Perlomeno, questa è stata la sensazione preponderante fino alla recente rilettura tra ottobre e novembre 2014, quando ho (finalmente!) riconosciuto in lei la scintilla dell'autodeterminazione tipica delle ragazze di Jane Austen.

Proprio come l'intraprendente Elizabeth Bennet, la passiva Fanny Price sconvolge il suo interlocutore e dice NO, per ben due volte: a Henry Crawford, che la chiede in sposa, e a Sir Thomas, che le impone di accettare.

Dire di no a quel mascalzone impenitente di Henry è sorprendente, oh sì, ma solo fino a un certo punto perché è esattamente ciò che mi aspetto come minimo sindacale da un'eroina austeniana, soprattutto da Fanny che a questo punto della vicenda è già una strenua paladina del valore dei principi morali (di cui Henry difetta assai).
Intendiamoci, sull'amore di Henry per Fanny non ho dubbi proprio perché non nutro alcun dubbio sul suo amore profondo per il gioco ed il divertimento, per il piacere di impegnarsi a fondo in una nuova sfida:

"E ora come credi che abbia intenzione di divertirmi, Mary, nei giorni in cui non andrò a caccia? Sto diventando troppo vecchio per andarci più di tre volte a settimana, ma ho un piano per i giorni intermedi, e di che cosa credi che si tratti?"
"Di certo passeggiare e andare a cavallo con me."
"Non esattamente, anche se sarò felice di fare entrambe le cose, ma quello sarebbe solo un esercizio per il corpo, e io devo prendermi cura della mente. Inoltre, quello si tradurrebbe tutto in svago e piacere, senza la salutare unione con il lavoro, e non voglio cibarmi del pane dell'ozio. No, il mio piano è fare innamorare di me Fanny Price. [...]
Non so proprio che cosa pensare di Miss Fanny. Non la capisco. Non saprei dire che cosa le passasse per la mente ieri. Che carattere ha? È dignitosa? È strana? È pudica? Perché si tirava indietro e mi guardava con aria così grave? Non sono quasi riuscito a farla parlare. In vita mia non sono mai stato così a lungo in compagnia di una ragazza, cercando di intrattenerla, con così poco successo! Non ho mai incontrato una ragazza che mi guardasse con aria così grave! Devo cercare di trarne il massimo. Il suo sguardo dice "Non mi piacerai, ho deciso che non mi piacerai", e io dico, le piacerò."
Cap. XXIV, trad. G.Ierolli

Questo suo amore per le sfide mi fa essere certa che, finito il divertimento di sentirsi, per la prima volta in vita sua, innamorato (gioco nuovissimo e tanto bello!), l'inemendabile byroniano Henry si rivolgerà verso altri e nuovi giochi, buttando via quello vecchio - e tanti saluti Fanny Price, se qualcosa di lei sarà rimasto...

Henry mette in campo una vera manovra di accerchiamento, degna del più consumato cacciatore: l'esca è la promozione a tenente di vascello di William, l'amatissimo fratello di Fanny, che Henry ottiene dallo zio ammiraglio. E parte all'attacco. Come Darcy con Lizzy prima di lui, egli è sicuro di avere già la preda nel carniere.
Jane Austen non permette alla sua Creatura di non essere fedele a se stessa: Fanny è passiva e remissiva, sì, ma non fino ad essere comprata da una promozione per il fratello. Non si tratta soltanto di "avere dei valori" (quanto sarebbe sbagliato ridurre a questa opinabilità il rifiuto di Fanny!) ma, assai meglio, di riconoscere il proprio valore di persona umana. E, nel dipingere l'inevitabile reazione che ne consegue, Jane Austen sceneggia il Gran Rifiuto di Fanny con pochi, abilissimi tratti di penna.

"No, no, no", esclamò lei, nascondendo il volto. "È tutta un'assurdità. Non angosciatemi. Non voglio più ascoltare una cosa del genere. La vostra bontà verso William mi rende più grata di quanto possano esprimere le parole, ma non voglio, non posso sopportare, non posso ascoltare simili... no, no, non pensate a me. Ma voi non state pensando a me. So che non c'è nulla di vero."
Cap. XXXI, trad. G. Ierolli

Che questa ipotesi, sposare Henry, sia del tutto inammissibile perché innaturale per Fanny, è reso evidente dal fatto che la giovane è, per la prima e forse unica volta nella sua vita romanzesca, sconvolta, scomposta, pronuncia tre volte "No" e, "scostata bruscamente da lui"*, lo lascia su due piedi.

Ancora più sorprendente ed entusiasmante è il NO che qualche pagina più tardi Fanny rivolge a Sir Thomas - il perfetto simbolo del potere precostituito, nella comunità familiare così come nella società, autorità paterna e pubblica, baluardo di tutto ciò che è permesso e dovuto e non si può discutere. E che, invece, Fanny mette in discussione esprimendo, sì, proprio lei, un pensiero dissidente.
Ancora, Jane Austen caratterizza il no a Sir Thomas con una qualità specifica, ben diversa dal disordine mostrato nel caso di Henry. Fanny, di nuovo sollecitata nella difesa di ciò che ha di più caro, la propria integrità, ritrova la stessa energia:

"Vi sbagliate, signore", esclamò Fanny, costretta dall'angoscia del momento persino a dire allo zio che aveva torto. "Vi sbagliate completamente. [...] Al contrario, gli ho detto... non riesco a ricordare le parole esatte... ma sono sicura di avergli detto che non volevo ascoltarlo, che per me era una cosa spiacevole da tutti i punti di vista, e che lo pregavo di non parlarmi mai più in quel modo. [...]"
Cap. XXXII, trad. G. Ierolli

e poi, con la sensibilità che le conosciamo, capisce di dover cambiare registro e risponde a monosillabi - tanto che, mentre leggo, mi sembra quasi che non stia nemmeno respirando. Ma quale forza emana dal suo restare immobile sulla sua posizione!

Non riuscì a dire di più, era quasi senza fiato.
"Se ho capito bene", disse Sir Thomas, dopo qualche istante di silenzio, "hai intenzione di rifiutare Mr. Crawford?"
"Sì, signore."
"Rifiutarlo?"
"Sì, signore."
"Rifiutare Mr. Crawford! Con quale pretesto? Per quale motivo?"
"Io... io non posso amarlo abbastanza da sposarlo, signore."
"È molto strano!" disse Sir Thomas, con un tono di calmo disappunto. "C'è qualcosa in questo che sfugge alla mia comprensione. [...]"
Cap. XXXII, trad. G. Ierolli

Fanny pagherà questo pensiero dissidente a caro prezzo. Non si può compiere una rivoluzione senza suscitare una reazione - che arriva puntualissima e con tutta la ferocia che ci si può aspettare, sotto forma di punizione. Sir Thomas mette in campo una repressione in piena regola: a subirla non è solo la singola giovane donna che dice no ma un'intera parte sociale poiché, in Fanny, Sir Thomas condanna qualunque donna osi avere una volontà contraria all'ordine precostituito. E lo fa con un ricatto psicologico dei più crudeli, del tutto uguale seppur contrario a quello che ha messo in moto tutta la vicenda: allontanare Fanny da Mansfield Park e rimandarla alla sua famiglia d'origine a tempo indeterminato.

Da qui in poi, tutto precipita e Fanny, ormai non più passiva ma Irremovibile, diventa il perno dell'azione di riposizionamento di tutti gli elementi in un nuovo Ordine, il suo.
Da qui in poi, ogni azione concretizza il suo essere coerente con se stessa, ed è l'ultima grande prova lungo il cammino di Fanny Price per diventare (con mia incommensurabile e gradita sorpresa, lo confesso) una Vera Eroina Austeniana, e vincere tutto - il matrimonio con il suo Edmund (no, non dirò mai "l'amore di Edmund" perché dubito che un tale inetto ne sia capace...); l'allontanamento della sua fustigatrice numero uno, la cara Zia Norris, e della numero due, Maria; l'arrivo dell'adorata sorella Susan; il costante sostegno all'altrettanto amato fratello William; nonché diventare padrona di "quella canonica alla quale, ai tempi di entrambi i precedenti occupanti, Fanny non era mai riuscita ad avvicinarsi senza una qualche penosa sensazione di riserbo o timore"**.

Nell'anno del Bicentenario di Mansfield Park, non poteva esserci regalo più bello per me, rispettosa ed entusiasta ammiratrice di tutte (adesso sì che posso dirlo) le protagoniste di Jane Austen.

*stesso capitolo
**Cap. XLVIII


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