Far Cry Primal - Recensione

Creato il 22 febbraio 2016 da Lightman

Dopo averci portato in luoghi incontaminati da mettere a ferro e fuoco, la serie Ubisoft torna sui nostri schermi con Far Cry Primal, nuovo episodio ambientato questa volta nell'età della pietra.

Far Cry Primal

Videorecensione

Francesco Fossetti scrive di videogiochi -fra una cosa e l'altra- da più di dieci anni, e non ha ancora perso la voglia di esplorare il mercato con vorace curiosità. Ammira lo sviluppo indie e lo sperimentalismo, divora volentieri tutto il resto. Lo trovate su Facebook, su Twitter e su Google Plus.

Abbandonate le verdeggianti isole tropicali e le cime nevose del Kyrat, la serie di Far Cry decide di fare uno spericolato salto indietro nel tempo, puntando su un'ambientazione sicuramente insolita per un First Person Shooter. Lo spin-off Primal ci porta infatti all'Età della Pietra, e più precisamente nel Mesolitico, fra tigri dai denti a sciabola e tribù primitive. Una scelta molto coraggiosa e -a ben pensarci- tutt'altro che conservativa, dal momento che il team di sviluppo si è trovato costretto a sostituire armi da fuoco con frecce, lance e clave, ripensando alla base alcune meccaniche per adattarle al nuovo contesto. Il setting tutt'altro che usuale rappresenta anche l'aspetto più intrigante della produzione: sono pochi i titoli che puntano su fascinazioni preistoriche, e Far Cry Primal (lontano dalle improbabili trovate di Ark Survival Evolved) punta addirittura su un'accentuata verosimiglianza e su una ricerca storica accurata. Ancora una volta, insomma, l'impalcatura che tiene in piedi questo Far Cry è rappresentata dall'ambiente di gioco, dalle atmosfere, dal contesto. La bellezza avvolgente della valle di Oros, la sua estensione quasi smisurata, e la creatività con cui è stata immaginata la lotta per la sopravvivenza delle tribù arcaiche, riescono con efficacia a bilanciare una progressione un po' monocorde, e persino l'assenza di una trama forte come quella che invece trainava i due precedenti episodi. Far Cry Primal, l'avrete capito, non è un titolo impeccabile, ed anche il suo gameplay traballa un po', soprattutto quando si concentra su un combattimento corpo a corpo che non è nelle corde della saga. Eppure, il titolo Ubisoft riesce a vincere il giocatore con il brivido della caccia, con la meraviglia dell'esplorazione, con i suoi panorami selvaggi e primordiali.

Libertà primitiva

La struttura narrativa di Far Cry Primal si discosta in maniera abbastanza evidente da quella dei predecessori. Il giocatore impersona Takkar, un cacciatore arrivato nella fertile valle di Oros e deciso ad aiutare la tribù dei Wenja, assediata sia dai cannibali Udan, arroccati fra i freddi monti del nord, che dal clan degli Izila, padroni del fuoco venuti dei torridi deserti meridionali. Per quanto il team di sviluppo si sia sforzato di caratterizzare i nemici, per merito di un character design efficace e riconoscibile, è il setting stesso che preclude la possibilità di studiare una nemesi convincente al pari di Vaas e Pagan Min. Nonostante abbiano il dono della parola (Ubisoft ha inventato -appositamente per Primal- un linguaggio protoindoeuropeo), i personaggi dialogano in maniera rozza e istintuale, fra gesti e suoni gutturali che esprimono i bisogni primari della sussistenza. Stando così le cose, sarebbe stato difficile proporre un racconto elaborato: il team ha scelto quindi la strada di una narrazione "orizzontale" e diluita, con il risultato che Far Cry Primal valorizza al massimo la componente sandbox. Non ha senso parlare di una trama portante: troviamo piuttosto una serie di storie, ciascuna legata ad uno degli Wenja che si uniranno al vostro villaggio, da seguire liberamente, senza un ordine cronologico stringente, e sempre disperse nel mare di attività "secondarie" che Primal propone. Le virgolette, insomma, diventano obbligatorie, dal momento che la caccia, la raccolta di risorse, le quest generate casualmente che permettono di aumentare la popolazione del villaggio, hanno pari rilievo nell'economia di gioco, costituendo un fitto tappeto di occupazioni che vi spingerà ad esplorare con metodo la mappa di Oros. Per quanto ben realizzate siano le scene d'intermezzo che introducono le quest dei personaggi principali, è difficile trovare in queste ultime uno stimolo forte: le ore passate in compagnia di Far Cry Primal vi vedranno più spesso impegnati a liberare avamposti nemici e accedere enormi pire votive (che qui assumono la stessa funzione delle torri del Kyrat), seguendo gli impulsi della vostra curiosità. State bene attenti a quel che cercate, quindi, perché se vi interessa un FPS con una storia appagante Primal potrebbe lasciarvi con l'amaro in bocca: avvicinandosi in maniera più marcata alla libertà integrale dei primi episodi, questo spin-off è pensato come un free-roaming puro, con tutto quello che ne consegue.

10.000 a.C.

Una clava, arco e frecce, una lancia poco affilata. È questa la dotazione iniziale di Takkar, con cui il protagonista sarà costretto ad affrontare sia i membri delle tribù rivali che le belve feroci che popolano Oros. L'impatto con l'equipaggiamento primitivo è spiazzante, e non sempre per ragioni positive. Mentre incoccare una freccia ed esibirsi in un letale colpo alla testa regala sempre grandi soddisfazioni, ricorrere al corpo a corpo sfoderando la clava mette in crisi il gameplay, evidentemente inadeguato a gestire le armi bianche. Animazioni abbozzate, collisioni confuse, feedback dei colpi da rivedere: le scaramucce a corta distanza sopo poco appaganti e particolarmente disordinate, un tasto dolente che il team di sviluppo non è riuscito ad aggiustare. È un peccato, quindi, che l'intelligenza artificiale dei nemici (sempre pronti a corrervi incontro), la lentezza dell'arco ed il limitato numero di lance a disposizione spingano a ricorrere agli assalti diretti, mettendo l'utente costantemente in contatto con la parte meno riuscita di Primal.

Solo in una fase avanzata del gioco si riuscirà a smussare questi spigoli, quando le abilità di Takkar gli permetteranno di trasportare più munizioni, costruire lance sprecando meno risorse, e avere a disposizione anche bombe incendiarie e schegge di pietra la scagliare come affilatissimi pugnali. Sono proprio i sistemi di gestione delle risorse e di sviluppo del personaggio che, mentre dettano i ritmi dell'avanzamento, rappresentano un incentivo ad andare avanti, ma anche a chiudere un occhio sulla natura un po' ripetitiva degli incarichi. Dopo una manciata di ore di gioco, del resto, sembrerà di aver visto quasi tutto quello che Primal ha da offrire in termini di varietà delle quest, e l'esplorazione metodica di Oros sarà necessaria piuttosto per raccogliere materie prime, pelli rare e abitanti con cui rimpolpare la popolazione del proprio villaggio. Oltre a veicolare un bel senso di progressione, il sistema tripartito riesce a fare da ottimo collante tra le varie componenti del gioco. Tutto parte dal villaggio, in cui finiremo per ospitare cacciatori, sciamani, esploratori e vecchi stregoni: mettendo da parte varie risorse, dall'argilla del Nord alla polvere di pietra raccolta lungo i ruscelli del Sud, potremo costruirgli capanne accoglienti. In cambio, questi ci daranno accesso ad una serie di potenziamenti per il nostro equipaggiamento, e ad un bel numero di skill tree con cui potenziare le capacità di Takkar. Mentre per sbloccare le abilità avremo bisogno di salire di livello, accumulando i Punti Esperienza attribuiti da ogni quest, per costruire faretre più capienti o clave in grado di fracassare le maschere protettive dei nemici dovremo entrare in possesso di materiali rari, magari cacciando bestie schive e aggressive. Questo processo di perfezionamento della dotazione e delle abilità, insomma, resta stimolante per una buona ventina di ore, durante le quali Takkar imparerà fra l'altro a domare le belve feroci, a cavalcarle (nonostante il feeling delle fasi "a bordo" di orsi e tigri sia ingessato e abbastanza terribile), ad usare il suo gufo per marcare la posizione dei nemici e poi ucciderli con un attacco in picchiata per tentare un approccio stealth. Anche grazie ad un equipaggiamento che in fin dei conti si dimostra più ricco di quanto previsto inizialmente, Far Cry Primal riesce insomma a "sedare" buona parte dei suoi problemi. Il senso di sfida più blando rispetto a quello dei vecchi episodi, le (tremende) missioni in cui si controlla un mammuth alle prese con un branco di rinoceronti, la cavalcata poco realistica dei compagni bestiali restano sbavature che svaniscono di fronte ai momenti più riusciti: alle "cacce del maestro" in cui inseguiamo le tracce di belve leggendarie, alla soddisfazione nel veder crescere il proprio villaggio, a quel brivido che si prova quando si riesce a ripulire un accampamento senza farsi individuare. Ancora di più, ad "intrappolare" il giocatore ed avvincerlo con le sue meraviglie, è la mappa di gioco, cornucopia inesauribile di panorami seducenti e suggestivi. L'elemento che più di altri mette in correlazione Primal con gli altri Far Cry è proprio l'ambiente, il suo fascino, la quantità di luoghi interessanti che lo compongono.

Ed eccoci quindi travolti dalla stessa magia che si respirava nelle valli del Kyrat, mentre ci tuffiamo nei laghi caldi delle regioni centrali, oppure osserviamo le pozze solforose a sud, e le pietre nere delle pareti rocciose settentrionali. Ogni settore di Oros è ottimamente caratterizzato, ogni insediamento ha una sua planimetria che sembra pensata per sposarsi con le architetture naturali della regione, e proprio quando pensiamo di aver visto tutto Primal torna a stupirci con cimiteri di mammuth e caverne infernali, portandoci sui picchi brulli e secchi dove albergano le aquile o facendoci attraversare lagune preistoriche di una bellezza conturbante. Ben oltre il sistema ruolistico che scandisce il ritmo dell'esplorazione, l'essenza di questo Far Cry (o di tutti i Far Cry?) è insomma l'ambiente, cornice perfetta di un'avventura ricca e appagante. Il merito di questo successo non è solamente della componente tecnica, che al netto di qualche texture poco definita convince grazie ad un framerate granitico e ad una draw distance più che buona, ma anche della spiccata originalità del contesto, sostanzialmente unico nel panorama videoludico attuale: ed anche per questo così prezioso.

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