FAR EAST FILM FESTIVAL 13:”Night fishing” (South Korea) di Park Chan-wook e Park Chan-kyong

Creato il 30 aprile 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Forse non tutti sanno che… il nuovo film di Park Chan-wook, che aveva preparato il nostro stomaco con la “trilogia della vendetta”, tra Mr. e Lady vendicatori e un non tanto più tranquillo Old boy, non è solo di Park Chan-wook. Questa volta la comoda sedia da regista si fa stretta per ospitare anche il fratello Park Chan-kyong, e insieme si firmano PARKing CHANce.

Forse non tutti sanno che… questo nuovo film è un medio metraggio girato col telefonino. Mi correggo, girato con uno strategico iPhone 4. Mi correggo, girato con otto iPhone 4. Neppure questa è giusta: gli iPhone sono stati otto, ma corredati da un aggiunta di ottiche appropriate e post prodotto da sapienti mani.

Il risultato è un film tecnicamente discutibile nella sua identità di manovra commerciale, ma che da punto di vista narrativo, incolla, stupisce, incuriosisce, nella nuova unione linguistica tra la tensione del fratello maggiore e l’indagine più onirica di quello minore.

Probabilmente si può condividere questa volontà sperimentale, se non fosse per alcune altre cifre che ci ribadiscono quanto siamo lontani dall’amatoriale a dalla reale e assoluta apertura del cinema al “consumer”: magari otto iPhone si trovano tra gli amici, ma 80 persone di troupe, 130 mila dollari e una cantante pop azzeccata e fatale (Lee Jung-hyun), forse, con più fatica.

Al di là di questo quadro, che comunque premia il regista per la lungimiranza con cui ha messo insieme tutte le componenti in un’ottica low budget, il medio metraggio è una storia non banale e ricercata nei modi e nella punteggiatura. Conosciamo la storia del protagonista Oh Gi suk, un pescatore notturno, attraverso i suoi occhi; fino a quando ripesca dal fiume un corpo di donna: nello spavento, rimane impigliato più e più volte, e poi totalmente annodato con la bava da pesca a quel corpo di donna vestita di bianco che pare morta. Questa poi, improvvisamente, si risveglia, in una sequenza agghiacciante e dai triplici significati, ma giocata con una magistrale visione semantica e conoscenza dei moti dello spettatore.

A quel punto, i ruoli si ribaltano così come gli abiti, lui in bianco e lei pescatrice; qui scopriamo che il pescatore non è più in vita, ma è stato vittima del fiume, e quella che ha incontrato è una sciamana che sta tentando il dialogo tra lui e la sua famiglia.

Il rito che segue ci riporta nel mondo dei vivi e descrive la riconciliazione e la quieta partenza del defunto, ripercorrendo le tradizioni sciamane: affascinanti, ammalianti, al punto da rimanere incollati, con gli occhi emozionati e con le orecchie toccate dalla cantilena d’addio della sciamana. Un telo bianco cosparso di riso viene tagliato, e il defunto parte definitivamente.

La parte invece più scollata, più, pare, unita ad una dimensione di reale metanarrativo, è l’introduzione iniziale, girata come fosse un video clip, che lascia agli UhUhBoo Project lo spazio per esibirsi in riva al fiume, mentre un cappello a tesa larga svolazza trascinato dal vento.
Con questa poesia futurista, tra musica e spiritualità, trentatré minuti dei più intensi che il tredicesimo Far East Film Festival abbia riservato al suo pubblico.

Rita Andreetti


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