Fassina fuori tempo massimo

Creato il 16 gennaio 2013 da Keynesblog @keynesblog

Stefano Fassina, responsabile economico del Partito Democratico, in una recente intervista al Financial Times ha avanzato la proposta di fermare gli aumenti salariali in cambio di maggiori investimenti, che porterebbero maggiore occupazione. Si scambierebbe cioè una possibile riduzione del potere d'acquisto in cambio di maggiore occupazione. Tenendo poi conto del fatto che i salari sono una delle componenti che guidano l'inflazione, in realtà i lavoratori andrebbero a perderci, in termini reali, molto poco, se non nulla.

Se questa ipotesi fosse plausibile i sindacati farebbero probabilmente bene ad accettarla. Il problema è che essa appare, a seconda di come la si interpreta, contraddittoria o fuori tempo massimo.

E' difficile sostenere che modesti risparmi sui salari monetari futuri possano incentivare maggiori investimenti oggi. I motivi sono molteplici:

  1. Le imprese investono a partire dall'apertura di linee di credito concesse dalle banche. Il tasso d'interesse che le aziende italiane si trovano a dover sostenere oggi è decisamente più alto di quello richiesto alle aziende tedesche. Sarebbe quindi opportuno affrontare questo nodo anche attraverso politiche pubbliche che favoriscano il miglioramento delle condizioni di prestito (ad esempio attraverso una banca di investimenti pubblica che potrebbe nascere dalla Cassa depositi e prestiti).
  2. Le aziende investono (e quindi si indebitano) solo se prevedono di poter realizzare maggiori profitti in futuro; se da un lato la moderazione salariale può avere un effetto positivo sulla valutazione della profittabilità futura, dall'altro tale valutazione è più strettamente legata alla domanda attesa: in altre parole, anche se i salari futuri fossero sensibilmente minori di quelli odierni, difficilmente gli imprenditori aumenterebbero la loro posizione debitoria, in un contesto di previsioni pessimistiche sulla domanda, le quali si avvererebbero peraltro più facilmente ove i lavoratori prevedessero la stagnazione del loro potere d'acquisto.
  3. Importare il "sistema tedesco" di contenimento dei salari in questa nuova fase (anche se Fassina sembra respingere l'idea di puntare così sulla domanda estera) sembra per lo meno intempestivo: la Germania si è infatti avvantaggiata negli anni puntando sul comportamento più espansivo dei suoi partner commerciali. Ma se tutti, a partire dall'Italia, seguissero la stessa linea, chiaramente il meccanismo si incepperebbe e nessuno ci guadagnerebbe. Si tratta di una banale fallacia di composizione: non sempre il comportamento profittevole per il singolo lo sarebbe se tutti l'adottassero. In effetti i dati confermano questo ragionamento: i salari nei paesi periferici sono andati riducendosi negli ultimi due anni, migliorando in parte la bilancia commerciale, ma ciò ha contribuito a rallentare la crescita tedesca che nel 2012 è stata di appena 0,7 punti (le previsioni per il 2013 parlano di un ulteriore rallentamento: 0,4%). Difficilmente l'Italia potrebbe ripetere l'esperimento tedesco.
  4. Si potrebbe obiettare che il contenimento salariale può ridurre la crescita dei prezzi e quindi accrescere la domanda. Ma questo è contraddittorio: la domanda privata interna infatti sarebbe depressa dal contenimento salariale stesso; la domanda pubblica è vincolata dal pareggio di bilancio che lo stesso Fassina non mette più in discussione; la domanda estera, come sostiene lo stesso responsabile economico del PD, al momento appare del tutto insufficiente a compensare il calo di quella interna, atteso che anche altri paesi stanno attuando politiche di blocco dei salari e che sono sempre più numerose le misure protezionistiche.
  5. Anche la stessa ipotesi che, in una fase di depressione come quella attuale, la domanda sia sufficientemente sensibile alla riduzione dei prezzi è tutta da verificare.
  6. Se, come rivelano i dati, l'Italia non presenta un costo del lavoro particolarmente elevato, ma piuttosto una produttività stagnante, non si capisce come il contenimento dei salari possa incrementarla.

La strategia proposta dal PD, quindi, non sembra basata su considerazioni economiche fondate e per certi versi sembra ripercorrere le linee di un modello che ha funzionato in presenza di condizioni notevolmente differenti da quelle attuali.