Tratto incisivo e colore inequivocabile. Entrambi capaci di riassumere mediante un’immagine femminile quella che è stata la storia di una violenza allargata ad un popolo intero.
Le dittature , si sa, non hanno un preciso colore e, quasi certamente, saranno o potranno essere ancora specie quando la “ragione”, in quel gioco di perversione che si chiama delirio di onnipotenza, s’avvita su stessa e inizia a generare le note mostruosità.
E sotto ogni cielo.
Ecco, allora, che questo corpo di donna giovane di FatbardhaSulay, dalla sensualità piuttosto promettente, che grida assieme sdegno, giustizia ma anche voglia di vivere,e nasconde gli occhi(?), altro non è che il corpo-archivio o, forse meglio, il corpo-sacrario di una “Storia”.
Storia fatta di sangue di cui grondano, riconoscibili, con ciò che rimane marginalmente dello spazio bianco (pace?), enigmaticamente le mani di lei.
Quando,come ci dicono, la parola “pietà nel contesto non è più neanche opzionale.
di Marianna Micheluzzi