Fate, domatrici e assassine.

Da Chiara Lorenzetti

Oggi è un tripudio di auguri per la festa della donna. Sappiamo tutti essere una festa commerciale e per nulla sentita, se non forse dalle piccole donne che ancora credono nei sogni.
Per il resto è un mero scambio di formalità, ma questo è spesso la vita, un calendario di date che ci ricordano il nostro passato.
Ciò non toglie che una riflessione sulle donne venga spontanea, soprattutto in tempi come questi di confusione di genere, di violenze, di torture psicologiche e fisiche, di ostentazione di corpi e poca intelligenza: io, posso dirlo chiaramente, non mi sento a mio agio, non sono serena, non trovo una collocazione, ruoto intorno alla ricerca della mia sedia. E non capisco da che parte stare, non mi vergogno a dirlo.

Le donne sono anime belle, luminose, sono madri perché nate per procreare. Sono l’esempio dell’amore, della tenerezza, sono la fonte di pace e accettazione.
Ciò che invece la vita riporta è tutt’altro, una necessità, una rabbia, una violenza dentro che trasforma le donne, le inacidisce, le abbruttisce, le rende gelose, invidiose, tese al riconoscersi con le palle, a detestare gli uomini, a farne senza con orgoglio, a volerli solo per loro, in una smania di possesso. Le donne disconoscono i figli, li uccidono, si lasciano tormentare da uomini inutili e violenti, le donne fanno parte delle mafie di potere, castrano sogni, si gonfiano, sgonfiano, grazie alla chirurgia estetica, parlano male delle altre donne, in segreto, quando di fronte fintamente le adulano. Le donne fanno le assassine, legano al collo uomini cane, li inchiodano con le loro vagine profumate, scrivono sogni che non mantengono, illudono, pretendono, domatrici di teste mozzate.

Spesso ho scritto che preferirei la mente di un uomo, schematica e razionale, menefreghista e leggero; spesso e ancora ora.

Ma sono una donna e ho solo questi occhi meravigliosi che vedono oltre e questo cuore bizzarro di sogni.
Dovrò imparare a farmene una ragione.

Chiara