In effetti Flaubert non diceva affatto così, ma forse si sarebbe potuto lasciar convincere facilmente dall’idea, lo dico sulla base dei dubbi espressi dal meraviglioso duo Bouvard e Pecuchet, in merito al suffragio universale:
“Essendo appannaggio di tutti, non può avere intelligenza. Un ambizioso emergerà sempre, gli altri obbediranno come un gregge, dal momento che gli elettori non hanno nemmeno l’obbligo di saper leggere; ecco il motivo, secondo Pecuchet, per cui c’erano stati tanti brogli nell’elezione presidenziale.
«Nessun broglio», sostenne Bouvard «credo piuttosto alla stupidità del popolo. Pensa a tutti quelli che comprano la Revalescière, la pomata Dupuytren, l’acqua delle castellane, ecc.! Questi polli formano la massa elettorale, e noi ne subiamo la volontà. … E così, per il solo fatto che si tratta di una folla, i germi della stupidità si sviluppano e ne risultano conseguenze incalcolabili.».”
La delusione di Falubert – per bocca dei suoi personaggi – riguardava l’elezione a Presidente della Seconda Repubblica Francese di Carlo Luigi Bonaparte (nel 1848). I due copisti non potevano ancora sapere quanto “incalcolabili” sarebbero state le conseguenze di quel voto. Flaubert invece sapeva bene che il Bonaparte, con numero progressivo romano III, si sarebbe fatto proclamare anche Imperatore, in barba alle utopie socialiste di Pecuchet. Il popolo – Noi popolo – spesso sceglie il suo stesso carnefice, deliberatamente, autonomamente, democraticamente e con compiacimento. Non era Falubert il primo a scoprirlo e non sono io il secondo a ripeterlo. Senza dubbio si può ascrivere allo scrittore di Rouen la capacità di preconizzare un triste futuro dominato dalla promozione pubblicitaria (Pensa a tutti quelli che comprano la Revalescière, la pomata Dupuytren, l’acqua delle castellane, ecc). Ambiziosi venditori di tappeti e di stoviglie, di pacchetti preconfezionati per la visione di calcio H 24, di promozioni bancarie così stupende che meglio non si può, e insomma tutta quella compagnia lì, già cominciavano ad affacciarsi alla ribalta nell’agone politico. L’analisi di Flaubert è giusta, profetica addirittura, anche quando incrimina la scarsa cultura del corpo elettorale (gli elettori non hanno nemmeno l’obbligo di saper leggere). Tuttavia sono perplesso sul “dove vuole andare a parare”. Assodato che un popolo non troppo alfabetizzato – lato sensu – è meglio governabile, ragion per cui l’innalzamento delle masse non avverrà mai; accertata da un bel pezzo ormai la tendenza degradante della “materia politica”, penso che il popolo lo si debba lasciar tranquillo. Anche perché a cercare di svegliarlo certe volte si fanno più danni, o al limite non capisce e dunque resta tutto com’è, con l’aggiunta di uno sforzo inutile e risibile. Sia chiaro che anch’io faccio parte del “popolo”, non c’è alcun sentimento aristocratico nel mio discutere. Ecco, chiarito tutto questo, credo che oggetto dell’esame debbano essere gli “eletti”, prima ancora che siano tali, nel momento in cui si chiamano “candidati”. Sanno questi leggere e scrivere? Conoscono il Diritto Amministrativo? Perché non costringerli ad un esame che comprenda la cultura generale quanto gli argomenti più tecnici dell’impegno politico? Se non sbaglio avviene già qualcosa del genere, una procedura selettiva interna al partito laburista anglosassone. Ci s’intenda, tutti i candidati dovrebbero fare l’esame, anche quelli che hanno conseguito titoli di studio in Facoltà che comprendono l’esame di Diritto Pubblico e Amministrativo. Non si sa mai abbiano dimenticato qualcosa! E mi rendo anche conto che ci sarebbero comunque raccomandazioni, brogli, raggiri e affini. Ma volete dirmi che in ogni caso non avverrebbe una pur sommaria scrematura? Ecco a quel punto che anche uno come me, un perfetto ebetucolo, potrebbe andare a votare senza il timore di eleggere un altro imbecille non-patentato. Sì, avete capito bene, diamogli almeno il certificato di imbecillità a questi politici, quanto meno al fine di scaricarci le coscienze.
Gaetano Celestre