Father and son
Creato il 07 aprile 2014 da Veripaccheri
Father and Son
di Hirokazu Koreeda
con Lily Franky, Yoko Maki, Machiko Ono, Masaharu Fukuyama
Giappone, 2013
genere, drammatico
durata, 120'
Nell'era della comunicazione globale accade sempre più di rado che si
assista a un film senza un bagaglio di conoscenze più o meno
approfondito sull'autore di turno. La purezza dello sguardo è merce
rara, e per questo la presenza di un'opera che permette allo spettatore
contemporaneo di recuperare parte di una genuinità compromessa dal
surplus informativo meriterebbe di essere salutata con il massimo dei
favori. A questa casistica appartiene suo malgrado "Like Father, Like
Son" di Hirokazu Koreeda, regista giapponese e uomo di cinema a tutto
campo, se è vero che in una carriera più che ventennale, divisa tra
lungometraggi, serie tv e documentari di vario genere e argomento,
niente o quasi è giunto dalle nostre parti.
A interrompere il
digiuno e a convincere gli esercenti a una distribuzione anche italiana,
ci voleva la visibilità offerta dalla vetrina cannense, e il premio
alla miglior regia assegnato a Koreeda dal collega Steven Spielberg
nell'edizione del festival appena conclusa. D'altronde non poteva essere
altrimenti, considerato che "Like Father, Like Son" attraverso la
struttura di un racconto incentrato su uno scambio di bambini, sottratti
ai rispettivi genitori al momento della nascita, e sulle conseguenze
che la scoperta del misfatto comporterà nella vita di due famiglie,
mette in scena uno dei temi più cari al regista americano, quello
dell'infanzia, qui trasposta nel rapporto tra un padre, Ryota, artefice
di una vita dedicata al lavoro e al prestigio sociale, e Keita, figlio
gentile e sensibile. Dopo aver appreso la notizia dello scambio ed aver
conosciuto il figlio biologico e la famiglia che lo ha cresciuto, Ryota
dovrà scegliere se ripristinare le condizioni di partenza, privilegiando
la tradizione e i legami di sangue con il ritorno a casa del figlio
naturale, oppure dare corso ai sentimenti ed all'affetto per Keita,
lasciando tutto come prima.
Curiosamente anticipato da altri due film analogamente imperniati sullo stesso argomento ("Il figlio dell'altra" ed "I figli di Mezzanotte")
"Like Father, Like Son" se ne distacca sia dal punto di vista dei
significati che di quello della messinscena. Koreeda infatti non sente
la necessità di contestualizzare la vicenda all'interno di un processo
storico e politico ben preciso, come era accaduto nei due film
precedenti, né eventualmente di utilizzare la dialettica interna per
vagheggiare il ritorno a un'esistenza più a misura d'uomo, attraverso il
contrasto tra le due famiglie: quella agiata e benestante di Ryota,
integrata nella modernità produttiva del paese ma compressa dalle
conseguenze di quei ritmi, contrapposta all'altra, quella dei Saiki,
felicemente umile e spudoratamente naif. Certamente è impossibile non
vedere negli sviluppi della narrazione, e nel confronto tra il carattere
chiuso e rigoroso di Ryota, con quello sgangherato ma pieno di slanci
del suo "contraltare", una propensione nei confronti di uno stile di
vita meno formale e più rispettoso delle regole del cuore. Ma ciò che
importa veramente a Koreeda, per una società abituata a far convivere il
vecchio ed il nuovo, non è quello di rimarcare una linea di separazione
tra gli uomini e il mondo, comune a tante storie del nostro cinema,
rafforzando le differenze e l'incomprensione reciproca, bensì
esattamente il contrario. A dircelo è il modo in cui ci restituisce le
sequenze dedicate agli spostamenti che permetteranno alle due famiglie
di conoscersi, con il tragitto coperto dalla macchina di Ryota per
raggiungere il sobborgo dove vivono i Saiki, realizzata in campo lungo e
con un tempo espanso ad enfatizzare l'importanza del momento, e la
consapevolezza di un isolamento, quello di Ryota e della sua famiglia,
chiusa nella torre d'avorio di un appartamento bello ma freddo ("sembra
un hotel" afferma ad un certo punto Ryota riferendosi al lusso del
proprio appartamento) che sta per giungere al termine. E anche l'amena
semplicità da acquarello che riprende la scampagnata al fiume, in cui il
ritrovato contatto con l'ambiente naturale va di pari passo con
l'apertura verso "l'altro", sancita dai volti dei protagonisti sorpresi
ma felici di ritrovarsi a quel punto, immortalati nella foto di gruppo,
che, non a caso, fa bella mostra di sé nella locandina del film.
Ma
"Like Father, Like Son" è anche la bravura di un regista capace di far
convivere la vicenda collettiva, quella che coinvolge ogni membro della
famiglia, con un'altra, più intima e personale che appartiene a Ryota,
chiamato a fare i conti con i traumi di un'infanzia solitaria e
sofferta, rivissuta nelle vicissitudini dei due bambini, smarriti in una
vicenda che rischia, come successe a lui, di allontanarli per sempre da
coloro che amano. Koreeda filma in punta di piedi, riuscendo a
mantenersi in bilico tra lirismo emotivo e gusto della rappresentazione.
Del suo film stupisce la presenza di uno sguardo intimo sulle vite dei
personaggi e allo stesso tempo il pudore con cui il regista le ha
restituite sullo schermo. Tenero e commovente "Like Father, Like Son" è
una pellicola di intensa umanità. E' un gesto di pace e di poesia.
Averlo premiato in un'edizione così importante del Festival di Cannes è
stata la testimonianza di una corrispondenza a cui anche noi ci sentiamo
di partecipare.
(pubblicata su ondcinema.it)
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