Nei fatti di cronaca non è raro, purtroppo, leggere di episodi di violenza che integrano uno dei reati più odiosi: lo stupro. Sul caso recentemente venuto alla ribalta devono ovviamente essere effettuati tutti gli accertamenti e gli approfondimenti necessari.
Tuttavia, in generale e senza riferimento al caso specifico, la vittima spesso deve aggiungere alla sopraffazione fisica subìta un altro tipo di violenza: quella di dover rievocare, raccontare e – purtroppo – spesso convincere il giudice di un processo… quasi da imputata.
Di questa dinamica si occupa - in “Notte buia, niente stelle”, una raccolta di quattro mini-romanzi (o racconti lunghi che dir si voglia) – il re della letteratura horror: Stephen King.
Nel secondo racconto, intitolato Maxicamionista, The King descrive il calvario della vittima, con la tensione narrativa di cui è capace e senza mistificazioni.
Tess è una scrittrice di gialli rassicuranti, quelli che appartengono al “sottogenere un-solo-cadavere-e-niente-sangue” e che hanno per protagoniste “vecchiette investigatrici che passano almeno un quarto di libro a scambiarsi ricette”.
In tanta moderazione: “Se si possa assegnare un prezzo al dolore, allo stupro e al terrore era un quesito che le donne del Circolo della Maglia non si erano mai poste. I crimini di cui si occupavano erano poco più che idee di crimini …”
La prima fase che attraversa Tess è quella del dolore fisico e della paura.
Poi subentra la valutazione di come comportarsi: “… sapeva anche che, rivolgendosi al suo dottore, rischiava di rendere la sua disavventura di pubblico dominio”.
E interviene il dilemma sul sistema più efficace per mascherare i lividi: “Le dirò che ho sbattuto la mia stupida faccia contro il pilastro della balaustra”.
Poi è tempo di una reazione: “Dentro di sé (al fondo di quell’anima straziata), sentiva una collera pulsante, e odio per l’uomo che l’aveva ridotta così”.
Matura così il desiderio di vendetta: “Vorrei vedere il terrore nei suoi occhi. … Questo ristabilirebbe un po’ di giustizia”. Da realizzare con ‘i ferri del mestiere’: “… Indossò il giubbotto di cuoio e un paio di sottili guanti di pelle” mettendo mano alla “Lemon Squeezer calibro 38”
La narrazione è scandita evocando film come “Il buio nell’anima” con Jodie Foster; “Il bacio della morte”; “L’ultima casa a sinistra”. Durante il suo progetto la protagonista parla con il gatto Fritz, con “Tom il Tom Tom” e poi con i cadaveri…
Mentre sulla sinistra vicenda si spande “la luce … dorata, straniante e priva di profondità, che pare caratteristica esclusiva dei pomeriggi di tardo autunno in New England”, il finale celebra un atto di solidarietà femminile.
Bruno Elpis