Fausto Melotti l’armonista delle sfere

Creato il 20 maggio 2012 da Theartship

Paola Pluchino. L’esordio di Fausto Melotti nel panorama artistico contemporaneo ha un che di eccezionale.

Posto nella congiunzione degli anni Trenta, insieme ad Osvaldo Licini e Lucio Fontana, l’artista si distingue subito per un che di ulteriore, un oltre che le sue sculture, suggeriscono, a bassa voce.

Fausto Melotti si assume così il compito di far convergere all’armonia dei risultati l’immaginativo del suono.

Comincia così ad inventare delle sculture che poco si discostano dalla linea della base, costruendole con assi, fettucce, piccole forme primarie (rettangoli, sfere, triangoli), leggere strutture metalliche che sembrano possano mutar forma, intervenendo nello spazio quasi come concreta notazione.

Percorrendo così il solco proficuo di quello Spirituale1 che già Kandinsky col suo manifesto indagava, laddove proponeva l’idea che ogni colore avesse un suo proprio suono2, Il nostro artista, nato a Rovereto nel 19013, interviene con fare primario ed elegante, ad indicare nella visione acustica la giusta chiave di lettura per l’opera.

In questa direzione, ossia nell’accordo tra lo spettatore e il suono interiore dell’opera, deve intendersi anche la scelta dei colori, dal bianco neutro all’ocra tenue dei bronzi: cromie che per loro stessa intensità non eccitano l’occhio, permettendo alla percezione, di andare al di là del bagliore cromatico, secondo la volontà di spogliare il reale da quelle tronfie e barocche strutture, verso l’intendimento dell’esecuzione mentale, oltre l’antropomorfismo di sagome ormai ridotte all’osso.

Osservare una sua opera, non significa quindi cedere al fascino muto della resa dei corpi nello spazio, come fossero muse stanti nel loro compiuto, ma è da intendersi nella percezione estesa del tempo, momento in cui la visione trascende l’occhio per abbracciare l’espressione del tragitto sonoro, percorso in cui il visivo dialoga e compie il ponte con l’armonia.

Il suono delle sfere, compito arduo di chi, virtuoso dello strumento, soprattutto di quei violoncelli così similari al soffio cosmico, paiono per Fausto Melotti le linee guida della composizione, in un’ intenzione artistica ulteriormente intellettuale, poiché priva di quegli improvvisati guizzi di violenza stilistica, escamotage propri della seduzione semplice.

Rinasce così, nell’elegante percorso espositivo di Saronno4, l’estetica sonora in senso stretto, in quel così delicato rapporto tra la materia visiva e l’immateriale acustico, trait d’union dell’indecifrabile e dello sfuggente.

Pur proponendo delle opere relativamente tarde, (Giraffe,1950, Scultura G., 1968, Vaghe Stelle dell’Orsa, 1984), l’esposizione ha il merito di dar lustro ad un grande artista, un uomo di cultura dalla sensibilità rara, che ha probabilmente inteso la lezione dell’Astrattismo milanese come punto di partenza per lo sviluppo di una poesia, delicata e soffusa, e a volte per questo tormentata e vera, dell’uomo a lui vicino.

Le proporzioni delle opere, ricordano per alcuni versi i Mobiles di Calder, quei giochi con l’altro, con l’aperto e con l’armonico, che nella infinità vastità delle possibili declinazioni, paiono porsi come figure archetipiche, parti con cui veleggiare.

1 Lo Spirituale nell’Arte, viene pubblicato dall’editore Piper di Monaco nel dicembre del 1911. Ha subito una vasta eco, promosso da N. Kul’bin che ne legge alcuni brani al II Congresso degli artisti a San Pietroburgo e da Alfred Stieglitz che pubblica degli stralci del saggio critico su Camera Work.

2 Cfr. Da un punto di vista musicale l’azzurro assomiglia ad un flauto, il blu ad un violoncello o quando diventa molto scuro, al suono meraviglioso del contrabbasso. W. Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, Se, Milano, 2005, p. 65.

3 Morto a Milano nel 1986

4 Fausto Melotti. Ritmi d’ottone e fragili terre. Il Chiostro arte contemporanea, viale Santuario 11, dal 20 maggio  al 30 giugno 2012


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