Non crede che la scelta di presentare due canzoni per ogni artista si sia rivelata penalizzante?«No, credo sia il modo giusto per valorizzare al meglio il lavoro degli artisti. Casomai ha creato problemi alla selezione perché è successo che qualcuno ci dicesse: una buona ce l’ho, due no, ma questo per me significa chiudere il discorso. Che senso ha? Che disco vai a fare se non arrivi nemmeno a due pezzi buoni?».
Eppure formare il cast è sempre molto faticoso, o no?«C’è una forte diffidenza,sempre, e questo è un problema. Sanremo sconta una serie di stratificazioni della memoria, c’è chi ancora pensa al vecchio Sanremo, chi agli anni Ottanta, quello dei Christian e dei Ricchi e Poveri, i nuovi d’altra parte coltivano le nicchie. Ci sono generi come l’hip hop per i quali l’aspetto popolare è percepito come pericoloso».
Potrebbe sembrare un cast rischioso, considerando che molti dei nomi sono sconosciuti al pubblico più maturo…«Questa è una scelta che rivendico. Il ragionamento opposto sarebbe fare il cast per il festival di Sanremo, ma noi siamo partiti da un altro punto di vista, mi rendo conto che possa essere rischioso ma questa è la scelta che abbiamo fatto. Mi piace che il progetto comprenda due anni, perché nell’arco dei due anni siamo riusciti a completare un quadro verosimile della canzone, così come si fa oggi in Italia».