”Cittadino primo console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi”.
Io, agnostico fino al midollo, non mi sogno neanche di contestare chi ricerca la verità anche al di fuori di Dio sfociando in un ateismo che contesto quanto e come contesto qualsiasi credo dogmatico, limitandomi a tentare di carpire ai grandi pensatori che mi hanno preceduto, le grandi verità che fanno evolvere il mondo. E fra questi c’è appunto Dostoevskij , un precursore, se vogliamo, di quei movimenti filosofici che troveranno terreno fertile nell’esistenzialismo di Heidegger , nello spiritualismo di Bergosn o nella psicanalisi di Freud , menti inquiete che rivendicheranno la complessità dell’animo umano che non potrà essere mai imbrigliato nelle sia pur complesse formule chimiche e matematiche del periodo positivista. Dostoevskij vive in Russia , al tempo degli zar, quando ancora non sarà esploso l’espressionismo pittorico che tenterà di esplorare l’uomo nei più reconditi recessi del suo animo, eppure i suoi personaggi, forse in contrasto con quelli descritti dal suo connazionale Tolstoj, probabilmente più razionale , a cui spesso viene comparato, i suoi personaggi, dicevo, dimostrano una tensione interiore, una mescolanza di umori antitetici che sfociano nel dramma, nel pathos, regalandoci pagine di sublime bellezza ed eleganza. Forse tale capacità gli deriva in parte dalla sua vita inquieta, ricca di episodi che apparentemente supera, ma che gli valgono un’esacerbazione massiva dei suoi attacchi epilettici cominciati quando apprese della morte del padre, ricco possidente della nobiltà russa, assassinato dai suoi stessi contadini, che lo punivano per la sua eccessiva severità.
La stessa severità che dimostrava come padre in modo tale che Fëdor cominciò ad augurargli la morte che sopravvenne insieme ai complessi di essere stato un parricida latente, motivo per il quale il nostro eroe, anzi la sua psiche, si puniva aumentando la frequenza dei suoi malori. Un altro episodio che lo segnò profondamente fu la condanna a morte che sia pure commutata in un certo numero di anni da scontarsi in un bagno penale, pure gli comportò un trauma psichico dal quale non si sarebbe più liberato. Dell’episodio della mancata fucilazione come della reclusione in Siberia, troveremo traccia in Delitto e castigo e ne L’idiota mentre nelle Memorie della casa dei morti ci descrive il degrado cui può arrivare l’umanità nelle estreme condizioni di disagio cui la reclusione lo induce. Il Giocatore tratteggia ancora il masochismo cui Dostoevskij si abbandonava forse schiavo di sensi di colpa che probabilmente gli derivavano da quella fede che prorompe finalmente nel suo massimo capolavoro I fratelli Karamàzov, l’ultimo impegno che esalta una fede che emerge tra dubbi, ripensamenti , conflitti tra dogma, ragione, morale e libero arbitrio. Molti autori moderni considerano Dostojevski più un filosofo che uno scrittore ma credo sia interessante ricordare che Freud invece lo considera un precursore della psicoanalisi affetto da bisessualità, complesso edipico e sensi di colpa. Egli descrive nel saggio “ Dostojevski e il parricidio” il nostro grande scrittore come un potenziale criminale che non diventa tale perché rivolge verso di se la sua aggressività, cosa evidente se si considera come nel Giocatore volutamente egli si degrada fino a umiliare la sua personalità.La psicoanalisi, come ho avuto già modo di dire, non è una scienza esatta e il saggio di Freud dovrebbe essere giudicato con beneficio d’inventario e anzi credo sia opportuno a questo proposito citare il celebre aforisma del grande regista francese François Truffaut che recita così:”Tutti coloro che scrivono sono un po' matti. Il punto è rendere interessante questa follia.”