Il giorno dopo la conclusione della tredicesima edizione del festival udinese si possono tirare le somme e raccogliere i cocci delle bottiglie di birra e dei bicchieri di spritz infrantisi come sempre copiosamente sul selciato del Teatro Nuovo. Dovendo rinunciare al lato gossipparo della faccenda, data l’impossibilità di andare al classico party di chiusura per raccontarvi come si è sbronzata l’ultima star filippina (causa dislocazione dell’ostello nella ridente e minacciosa campagna friulana, a circa duemila km dal centro, senza possibilità di trasporti pubblici), vi dovete accontentare di un mio commento finale sul festival e la lista dei premi (seguiranno altri due post con una decina di mini-recensione, uno dei quali dedicato interamente al Giappone. Già vi vedo entusiasti).
- Aftershock di Feng Xiaogang
Partiamo dai premi: la parte del leone l’hanno fatta quest’anno i cinesi coi loro blockbuster ai limiti della propaganda che hanno commosso la giuria popolare, la quale, si sa, con i melodrammoni e le storie tragiche va sempre a nozze; il primo posto è infatti andato ad AFTERSHOCK di Fang Xiaogang, sul terremoto del 1976 e le tragiche vicende di alcuni dei sopravvissuti. Al secondo si piazza comodo comodo Zhang Yimou, per la prima volta a Udine, con la sua storia d’amore ai tempi della rivoluzione culturale (…) UNDER THE HAWTHORN TREE. Sul gradino più basso del podio troviamo a sorpresa una commedia fantastica (nel senso che è basata su scambi di corpi ed equivoci a catena, immagino con moraletta finale) del filippino Chris Martinez, ovvero HERE COMES THE BRIDE.
- Confessions di Nakashima Tetsuya
Il Gelso nero, il premio assegnato in base ai voti dei Black Dragon – gli accrediti “vip” del festival – è invece andato senza troppa fantasia a CONFESSIONS di Nakashima Tetsuya. Se i primi tre premi riflettono il gusto di un pubblico “popolare”, questo dei Black Dragon rappresenta perfettamente quello dei cinefili che si masturbano davanti all’estetica tutta effetti del film di Nakashima (la mia opinione già la conoscete), il quale ha anche vinto il Premio MyMovies.it come pellicola più votata in rete. Per finire, il premio più inutile, ma anche l’unico che assegnava dei bei dindini e che quindi a registi e produttori non avrà fatto tanto schifo, il Premio Technicolor Asia, che è andato al thailandese A crazy little thing called love (i nomi dei registi non ve li scrivo che altrimenti stiamo qui una settimana).
Come ogni anno puntualmente accade, anche questa volta il vostro inviato speciale è riuscito a mancare praticamente tutti i film vincitori (anche se in quest’edizione sono più giustificato, avendo dovuto saltare alcuni giorni di festival), per i prossimi anni ho quindi deciso di farmi pagare dai produttori per NON andare a vedere i loro film così da assicurargli la vittoria.
La media globale si attesta come sempre a Udine su un buon livello, il meglio del cinema commerciale asiatico sostanzialmente, con qualche incursione nel film d’autore. Questo livellamento produce sì rari capolavori, ma limita di molto il pericolo di sole clamorose, presentando un programma altamente godibile da appassionati e non. Il Far East di Udine inoltre, pur crescendo di anno in anno (e lo si nota anche nei prezzi che lievitano), riesce a mantenere quell’atmosfera informale e calorosa che ne rappresenta sicuramente un valore aggiunto (assieme a tutti quei personaggi folkloristici che la popolano) e che permette di fumarsi una sigaretta con uno degli attori coreani più in voga in tutta tranquillità o, peggio/meglio, vedere il regista del film indonesiano appena concluso guardarsi intorno spaesato fuori dal Teatro senza nessuno che se lo caghi. Questè è il Far East e noi lo amiamo così.
Facendo le corna (simbolo di questa edizione), ci vediamo il prossimo anno
EDA
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