"felicita' smemorata".

Creato il 30 aprile 2014 da Posacostantino
C'è un'aria strana nella mente, come un tam-tam tribale. Una cosa che mi spaventa. Una cosa venata di tristezza. Lungo i marciapiedi del tempo la vita non aveva altro da offrire. I pensieri tritati come piccoli relitti di sogni diventati quasi invisibili. E' la prima e unica volta nella quale mi sono accorto che gli uomini hanno paura. Hanno paura del passar del tempo, inesorabile. Paura dell'abbandono e per non aver più di un rimpianto a vagar come un pirata anonimo tra mille suggestioni altrui. NO, non è così, non può essere così, non posso non avere sogni e rubare quelli degli altri. Le cose a cui tengo non sono altrove. La mia felicità è solo smemorata. La mia felicità è sempre nel mio cuore. Nelle parole di chi mi ha parlato. Nei pensieri di chi mi ha sempre amato. Negli sguardi di chi mi ha fissato. Nell'animo di chi mi ha ascoltato. Nel ricordo scippato al tempo ho rivisto un amore che ha dentro di sé un esito quasi fatale, inutile. Quello di essere una follia. Quella che non ti fa capire. Quella che ti fa urlare: " ti Amo ". Quella che ti lascia dire: Solo Quello. Inerpicata ad un "si". Quando poi tutti sembrano scontenti di tutto, ha fatto quello che voleva fare, andare via. Quando s' invecchia, restano soltanto i sogni, quelli che ti fanno vedere nulla di nulla. Mentre i nostri pensieri sono strumenti a corde se parlano del tanto vissuto o grandi Gong se urlano di amori ormai andati. Quanti no e a quanti forse, come quella panca di legno antico nel parco.

A quelle parole incise nel tronco: “ Ti amerò sempre “, ma quella panca non potrò mai dimenticarla. Quel legno deluso ha ascoltato ogni mio respiro. Ha sentito l’alito di ogni promessa. Il calore di tanti nostri baci. Quella panca messa lì per ricordare quell’amore tradito. Quel nostro “non ci lasceremo mai”, mentre quel maggio, quel giorno di maggio, mi ha visto passare dietro ad una bara in un corteo di addio di un amico mancato. Solo quel giorno, alzando il capo, sperando di vederla ancora lì, mentre mi aspetta. Legno tradito, tu solo hai capito cosa vuol dire vederla lì, abbracciata ad un altro. Solo quel giorno ho capito di essere solo. Solo quel giorno ho capito, non basta morire per essere ferito. Quel silenzio che tace solo quando passa il vento, sussurra sottovoce: Non lasciarla mai da sola. Non lasciarti ingannare, segui sempre la tua via, ma non dimenticare tutto quello che hai passato. Le parole che non hai mai detto. Le luci di tanti occhi e i battiti dei cuori. Quel silenzio forse tace, ma sa farsi ascoltare. Sussurra spesso sottovoce fino a quando passa il vento, a passo lento, per non farti spaventare. Il pensiero va sempre a lei e all’amico morto. Morto perché aveva sempre voglia di volare. Nessuna notte può spegnere la luce di quei suoi ultimi passi. Fermarsi dove il vuoto ha inizio. Lasciare un ultimo sorriso capace di fermare il tempo e sussurrare alla morte: “Fermati”. Aspetta, tu non sai perché, ma lei si. Lei è ancora lì su quella panca stanca. Ascoltare la sua voce che toglie il respiro e urlare, se pur sottovoce, alla sorte: “Vola dove vuoi, non avere fretta. Io ho l’obbligo di affacciarmi almeno col pensiero tra chi non ho mai dimenticato". Tu hai l’obbligo di lasciarmi almeno con un sorriso, con chi ho sempre amato.
Se i pensieri fossero fatti soltanto di parole, desideri e strani pentimenti, forse mi sentirei perso. Dimenticherei le sue mani sulla pelle di brividi trattenuti. Scorderei le sue labbra ansiose di parole e di baci contenuti. Mi pentirei di averla cercata, amata e desiderata come il gelo inverno aspetta ansimando l’arrivo della dolce primavera e lasciarsi andare e sentirsi come un Dio. Se pur bruciando d’acqua in una notte arsa d’estate, aspetterei il cadere lento di un cambiamento. Le foglie secche di perdute voglie di un solo unico vento lieve d’autunno. Ricordo ancora le parole dell’amico: “Io, non mi perderò tra i vortici del tempo”. 
Mentre io non dimenticherò i pensieri e le gioie e i dolori che mi trafissero il cuore. Io accarezzerò il tuo volto solcato di tempo e speranze. Ti accompagnerà il vento, fatto di tutto ciò che avrei voluto dire e se i miei pensieri si mutassero in ali, ti scorterei oltre il dolce dolore di un frangente e non mi perderei mai dietro le parole di un addio. Lascerò cadere soltanto una lacrima per tutto quello che hai donato. Stringerò per sempre le tue mani per non lasciarle mai sole. Aspetterò che il vento torni e lo seguirò nel mio momento.Perché mai dovrei scrivere del mio tormento. Cercavo l’acqua, le piogge sbattute dai venti delle emozioni. Trovai soltanto lacrime da quel siamo tutti colpevoli di qualcosa. Come pezzi mancanti, certamente dannati dal voler essere sempre distanti. Cosa ci trattiene dall’essere come poveri non pensanti? Lasciammo fare al nulla ad indicarci la via. Finimmo in tanti in ginocchio per non aver mai voluto ascoltare. 
Quando lei è andata via, camminava lenta, senza vigore. Alle sue spalle le onde deluse spingevano i miei respiri ansiosi di parole mai pronunciate verso un orizzonte svogliato che si tinge di colori senza contrasto. Il rosso del sole nel rosa e l’azzurro del cielo dissolto in un languido grigio come l’andare dei pensieri che non sanno cosa pensare, sospinti da un vento perenne. Solo ad essi appartiene il battito di un cuore lasciato solo prima del nulla. A fissare lontano il rossore indolente di un viso che mai più riconosce. Succede ad ogni tramonto di dover pensare a lei. Se non ci fosse mai stata, non cercherei invano il battito del suo cuore, lungo la strada di una pericolosa assenza. Se fosse stata solo una favola, un antidoto alla solitudine, non respirerei invano il vento sazio del suo profumo. Se non fosse stata certa una follia che non sa mentire, ascolterei invano il battito di una parola. Quella che sa coprire il tempo del silenzio. Lui lo sa dire: “Io vado, ma poi ritorno”. C’è un momento in cui il tempo sembra fermarsi. Un momento di riflessione. Un momento in cui vorresti dire: “Sono un idiota”. Parole che tante volte possono ferire e le altre tenute dentro per un altro momento. Illudersi di essere sempre vicini, mentre il momento gioca con il tempo e si lascia convincere che tante volte è meglio andare via. Come ha fatto lei e come ha fatto l’altro, l’amico morto. Sono come le strade a senso unico, dove non si può girarsi indietro. Senza incroci che portano in un’altra direzione. Sempre in avanti verso l’orizzonte che a sua volta si sposta, non resta mai fermo. Non ti lascia nessuna scelta, se vuoi raggiungerlo devi inevitabilmente guardare sempre avanti e accelerare. La tua meta è sempre lì, oltre l’orizzonte, mentre l’amico dalla vita trasgressiva, fatta di amori e confusioni è andato via. 
Una vita che parla di se con malizia e di mani sulla pelle. S’ispira e s’incanta a respiri ansiosi, furtivi d’inganno. Dimentica gli intrecci di un’altra primavera e dice: “Tutti i mari e le nevi sono uguali”, Raccoglie i sudori di ardori, in fazzoletti di carta buttati al vento di turno. Parla di una vita e di tutti i momenti strappati di rami del tempo. Dice: “Tutto è possibile”, ma non ti chiede se tu ora sei felice. C’è solo una parte di me che aspetta un solo ritorno. Ascolta il vibrar di un sottile silenzio che t’insegue e ti dice: “Con me tu eri felice”. Quando il mio silenzio parla, dice: “Con te io ero sempre felice”.La mia felicità smemorata ti dice: “Ci siamo erosi rischiando la follia. Forse non c’incontreremo più. Forse è stato soltanto una notte di pazzia. Forse è stato soltanto un attimo. Mentre l’amore è un eterno momento o un dolore di un intenso silenzio. Forse non eravamo noi a dover mentire. Forse ci siamo consumati aspettando un’unica magia. Forse favorita dal destino è stata la malinconia, non ha resistito al fascino di farci compagnia. Forse non ce ne siamo accorti, il futuro assomiglia molto al passato. Tra il ridicolo e il beffardo saremo ancora soli, come lo eravamo prima. 
Ci vorrà del tempo per far sì che i fantasmi degli amori e degli addii tornino a ruggire. Hanno cose più importanti da fare. Troppo avezzi a scrutare le nebbie e i buii delle notti incerte per apprezzare il sole e le luci forti di un ritorno. E’ come se il mare e lo scoglio si affrontano senza ritegno. Tornano in mente le parole di un cuore: “Tu sei diretto là, non lasciare che il male risucchi le lacerazioni di un cuore che aspetta”... E’ tutto ciò che gli resta.Ardono soltanto i fuochi sulla sabbia di notte. Ceppi che ardono, non per bruciare, ma per ricordare le offese fatte e le parole mai dette. Liberate al tempo che disperde e i pensieri che strizzano al cielo, nel silenzio di un via vai di stelle. Sono quelle che hanno riso al cuore, mentre gli occhi chiusi al vento ad inseguire il pianto di chi si è fermato. Sono urla e lampi che non vanno via. Rallentano i passi di chi vuole essere fermato. Non so se in certi momenti è meglio maledire o pregare prima di andare via. Ci sono modi difficili da accettare, come le rabbie di quel tanto che ci appare fin sotto al muro di cinta delle nostre possibilità. Bisognerebbe rubare il tempo a chi ne ha tanto e darlo a chi ne ha poco e niente. Bisognerebbe rubare il troppo e darlo a chi non ne ha mai avuto tanto. Bisognerebbe pregare o maledire l’arrivo di certi momenti. Come quando ho visto quella bara. 
Non è come un passaggio di nubi che dicono, non è servito tirarsi a parte. Immaginare che lei non esiste, col fastoso corteggio delle parole trafitte dai no. E’ quello che spesso accade, traluce e vibra in fondo a quei pensieri concordi e a volte alterni all’eco che come il vento non ritorna. Sono i tramonti che non hanno avuto aurore e le stagioni che non hanno mai avuto cambi. Sono le forbici che non hanno mai cucito e le verità che non hanno mai urlato al vento: “Non è servito”.
Come farò a convincermi che non è finito, se in quella bara mi son trovato io.