A quelle parole incise nel tronco: “ Ti amerò sempre “, ma quella panca non potrò mai dimenticarla. Quel legno deluso ha ascoltato ogni mio respiro. Ha sentito l’alito di ogni promessa. Il calore di tanti nostri baci. Quella panca messa lì per ricordare quell’amore tradito. Quel nostro “non ci lasceremo mai”, mentre quel maggio, quel giorno di maggio, mi ha visto passare dietro ad una bara in un corteo di addio di un amico mancato. Solo quel giorno, alzando il capo, sperando di vederla ancora lì, mentre mi aspetta. Legno tradito, tu solo hai capito cosa vuol dire vederla lì, abbracciata ad un altro. Solo quel giorno ho capito di essere solo. Solo quel giorno ho capito, non basta morire per essere ferito. Quel silenzio che tace solo quando passa il vento, sussurra sottovoce: Non lasciarla mai da sola. Non lasciarti ingannare, segui sempre la tua via, ma non dimenticare tutto quello che hai passato. Le parole che non hai mai detto. Le luci di tanti occhi e i battiti dei cuori. Quel silenzio forse tace, ma sa farsi ascoltare. Sussurra spesso sottovoce fino a quando passa il vento, a passo lento, per non farti spaventare. Il pensiero va sempre a lei e all’amico morto. Morto perché aveva sempre voglia di volare. Nessuna notte può spegnere la luce di quei suoi ultimi passi. Fermarsi dove il vuoto ha inizio. Lasciare un ultimo sorriso capace di fermare il tempo e sussurrare alla morte: “Fermati”. Aspetta, tu non sai perché, ma lei si. Lei è ancora lì su quella panca stanca. Ascoltare la sua voce che toglie il respiro e urlare, se pur sottovoce, alla sorte: “Vola dove vuoi, non avere fretta. Io ho l’obbligo di affacciarmi almeno col pensiero tra chi non ho mai dimenticato". Tu hai l’obbligo di lasciarmi almeno con un sorriso, con chi ho sempre amato.
Se i pensieri fossero fatti soltanto di parole, desideri e strani pentimenti, forse mi sentirei perso. Dimenticherei le sue mani sulla pelle di brividi trattenuti. Scorderei le sue labbra ansiose di parole e di baci contenuti. Mi pentirei di averla cercata, amata e desiderata come il gelo inverno aspetta ansimando l’arrivo della dolce primavera e lasciarsi andare e sentirsi come un Dio. Se pur bruciando d’acqua in una notte arsa d’estate, aspetterei il cadere lento di un cambiamento. Le foglie secche di perdute voglie di un solo unico vento lieve d’autunno. Ricordo ancora le parole dell’amico: “Io, non mi perderò tra i vortici del tempo”.
Quando lei è andata via, camminava lenta, senza vigore. Alle sue spalle le onde deluse spingevano i miei respiri ansiosi di parole mai pronunciate verso un orizzonte svogliato che si tinge di colori senza contrasto. Il rosso del sole nel rosa e l’azzurro del cielo dissolto in un languido grigio come l’andare dei pensieri che non sanno cosa pensare, sospinti da un vento perenne. Solo ad essi appartiene il battito di un cuore lasciato solo prima del nulla. A fissare lontano il rossore indolente di un viso che mai più riconosce. Succede ad ogni tramonto di dover pensare a lei. Se non ci fosse mai stata, non cercherei invano il battito del suo cuore, lungo la strada di una pericolosa assenza. Se fosse stata solo una favola, un antidoto alla solitudine, non respirerei invano il vento sazio del suo profumo. Se non fosse stata certa una follia che non sa mentire, ascolterei invano il battito di una parola. Quella che sa coprire il tempo del silenzio. Lui lo sa dire: “Io vado, ma poi ritorno”. C’è un momento in cui il tempo sembra fermarsi. Un momento di riflessione. Un momento in cui vorresti dire: “Sono un idiota”. Parole che tante volte possono ferire e le altre tenute dentro per un altro momento. Illudersi di essere sempre vicini, mentre il momento gioca con il tempo e si lascia convincere che tante volte è meglio andare via. Come ha fatto lei e come ha fatto l’altro, l’amico morto. Sono come le strade a senso unico, dove non si può girarsi indietro. Senza incroci che portano in un’altra direzione. Sempre in avanti verso l’orizzonte che a sua volta si sposta, non resta mai fermo. Non ti lascia nessuna scelta, se vuoi raggiungerlo devi inevitabilmente guardare sempre avanti e accelerare. La tua meta è sempre lì, oltre l’orizzonte, mentre l’amico dalla vita trasgressiva, fatta di amori e confusioni è andato via.
Una vita che parla di se con malizia e di mani sulla pelle. S’ispira e s’incanta a respiri ansiosi, furtivi d’inganno. Dimentica gli intrecci di un’altra primavera e dice: “Tutti i mari e le nevi sono uguali”, Raccoglie i sudori di ardori, in fazzoletti di carta buttati al vento di turno. Parla di una vita e di tutti i momenti strappati di rami del tempo. Dice: “Tutto è possibile”, ma non ti chiede se tu ora sei felice. C’è solo una parte di me che aspetta un solo ritorno. Ascolta il vibrar di un sottile silenzio che t’insegue e ti dice: “Con me tu eri felice”. Quando il mio silenzio parla, dice: “Con te io ero sempre felice”.La mia felicità smemorata ti dice: “Ci siamo erosi rischiando la follia. Forse non c’incontreremo più. Forse è stato soltanto una notte di pazzia. Forse è stato soltanto un attimo. Mentre l’amore è un eterno momento o un dolore di un intenso silenzio. Forse non eravamo noi a dover mentire. Forse ci siamo consumati aspettando un’unica magia. Forse favorita dal destino è stata la malinconia, non ha resistito al fascino di farci compagnia. Forse non ce ne siamo accorti, il futuro assomiglia molto al passato. Tra il ridicolo e il beffardo saremo ancora soli, come lo eravamo prima.
Non è come un passaggio di nubi che dicono, non è servito tirarsi a parte. Immaginare che lei non esiste, col fastoso corteggio delle parole trafitte dai no. E’ quello che spesso accade, traluce e vibra in fondo a quei pensieri concordi e a volte alterni all’eco che come il vento non ritorna. Sono i tramonti che non hanno avuto aurore e le stagioni che non hanno mai avuto cambi. Sono le forbici che non hanno mai cucito e le verità che non hanno mai urlato al vento: “Non è servito”.
Come farò a convincermi che non è finito, se in quella bara mi son trovato io.