Zanardo spiega che l’Italia è il paese con il più alto consumo di tv in Europa. Non solo, abbiamo anche uno dei mercati pubblicitari più grandi al mondo (4 miliardi di fatturato l’anno). Per questo l’analisi di ciò che passa per le nostre televisioni rappresenta un passo obbligato per comprendere il sociale e per cambiarlo. Provocando dice: ognuno dovrebbe guardare 15 minuti di televisione a settimana per rendersi conto di quello che viene propinato al Paese. Il problema di mancanza di qualità non è un problema di fatturato (banalmente, con il trash televisivo non si guadagna di più) ma il risultato della mancanza di innovazione e di investimenti nei talenti. A quanto pare in Italia gli investimenti pubblicitari più sicuri devono puntare su un sessismo delle immagini più forte che in altri paesi europei: per esempio, lo spot Müller in Francia non mostra donne nude come da noi, ma innocue immagini di pascoli.
Zanardo ha dunque sostenuto che l’educazione ai media sia uno strumento di cittadinanza attiva, poiché mette nelle condizioni di reagire ad un messaggio che viene interiorizzato attraverso la tv, cioè in modo strutturalmente passivo. Le discriminazioni di genere trovano qui un punto nevralgico della loro campagna di vaccino: i mass media veicolano messaggi fortemente discriminatori per le donne. L’empowerment femminile è l’obiettivo e parte anche da qui. Zanardo sta portando avanti un progetto che si chiama Nuovi Occhi per i Media, molto diffuso in Toscana (per ora 7mila studenti coinvolti, una decina gli educatori già arruolati) e da questa settimana in Trentino. Un successo quindi ma il problema sono i finanziamenti che permetterebbero di diffondere il progetto, vale a dire il problema è un’attenzione diffusamente politica che invece manca.
Zanardo si chiede infine se il femminismo italiano di oggi non sia troppo elitario. In effetti, il rischio per ogni prassi politica che col tempo sia diventata anche teoria, è proprio quello di perdere gradualmente la presa sulla realtà. Soffermarsi troppo sul lato teorico, non ha forse allontanato le tante femministe dall’approccio diretto, dal confronto concreto con i problemi che le donne, tutte, vivono quotidianamente? E in questa frattura non ha forse avuto un ruolo la tv, che impone l’ipersessualizzazione delle immagini solo a chi, la tv, la guarda, ossia a persone distanti da coloro che invece non la guardano mai solo perché sono nelle condizioni socio-economiche tali da cercarsi infotainment più di qualità? Che cosa significa stare fuori dal sistema, quando tanto il sistema tanto inghiotte solo chi è dentro? Come realizzare una cordata femminile che non trascuri nessuna?
Con queste domande finali si guadagna i due interventi di Laura Cima che trovate qui.