Ma a parte questo è del tutto evidente che si sta parlando di un’emergenza solo mediatica che deriva dall’attenzione che giornali e televisioni, talvolta, anzi spesso, con cifre di fantasia, danno a ogni nuova tragedia di questo tipo. Quando si lancia l’allarme sul fatto che 25 donne sono state uccise nel primo quadrimestre di quest’anno dal marito, dal fidanzato o dagli ex, si fa leva sulla scarsa attitudine aritmetica di lettrici e lettori che non consente di vedere che il dato annuale sarebbe di 75 “femminicidi” contro i 124 del 2012. Ma questo sarebbe poco importante, anzi sarebbe persino meritorio se la spasmodica attenzione servisse a una crescita di consapevolezza, se preludesse a incipienti cambiamenti di cultura dentro la matrioska delle esclusioni sociali e se insomma fosse funzionale alla messa in crisi dell’idea generale di possesso a cui possono essere fatti risalire tutti questi episodi. Invece nulla di tutto questo avviene e il tragico fenomeno viene analizzato come come se il rapporto uomo/donna navigasse in una sfera del tutto avulsa dalla società e anche dalle scelte contingenti che vengono fatte. Come se si cercasse di trovare un qualche rimedio senza toccare nulla delle cause che sono alla radice della condizione di subalternità femminile e in qualche modo si volesse distrarre l’attenzione dalla realtà del massacro sociale delle donne che sta avvenendo giorno dopo giorno.
Così accade che da una parte si enfatizzi un vittimismo da specie in via di estinzione per cui si tendono a chiedere leggi speciali che in sé sono abbastanza inutili, dall’altra donne in posizione di privilegio, si attaccano a stereotipi quali la pubblicità sessista quale radice del dramma come se l’esposizione del corpo e il messaggio di disponibilità ancillare che da esso deriva fosse qualcosa di molto diverso dall’essere in posizione subalterna sul lavoro e a casa. Anzi isolare il lato sessuale come luogo dove risolvere il problema della disparità di genere è un’ipocrisia senza fine e quella preferita dal moralismo borghese del senonraquandismo. Mentre milioni donne che non hanno la possibilità di sedere sugli scranni del parlamento o di fare informazione dalle infinite redazioni di giornali e tv o da sicure posizioni professionali, sono esposte a ogni tipo di ricatto, persino quello della maternità e nel migliore dei casi sono messe sempre in secondo piano, dentro un’umiliazione di genere, ci sono auguste cariche istituzionali che invece di battersi perché si trovi rimedio a queste situazioni, se ne vengono fuori con la pubblicità sessista che è solo uno dei tanti effetti, non certo una causa.
Naturalmente è assai più facile puntare il dito su tette e culi che non battersi per la parità salariale o per evitare che i contratti di lavoro si risolvano in un ricatto costante grazie alla loro aleatorietà, far finta di non rendersi conto che lo sfruttamento e il laissez faire che sembrano ormai l’unica stella polare della politica, colpiscono tutti, ma in maniera particolare le donne che giò partono in posizione di grande svantaggio. O magari insistere per mettere ordine in una legislazione sulla famiglia che se apparentemente favorisce le donne, lo fa nell’ambito di quella visione patriarcale tanto cara alla chiesa e ai democristiani. Così prendiamocela con Carosello, visto che è recentemente rinato e chiediamoci però perché sia sempre una donna a lustrare il pavimento o a cercare il bianco che più bianco non si può.
La verità è che questo costituisce per un numero ristrettissimo di donne un ulteriore avvicinamento al potere degli uomini nell’ambito di una società profondamente iniqua: ora abbiamo anche le gattoparde.