Femminismo epico e digitale: Erica Jong bacchetta con ogni ragione uno straordinario, poetico Giampiero Mughini più “liberato” di lei e che ai posteri lascerà “assolutamente nulla”.

Creato il 21 novembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Rina Brundu. “Io uso molto la satira. Un autore satirico, alla maniera dei suoi grandi predecessori, usa la satira per scioccare” ha confessato un’ancora combattiva (ma non troppo) Erica Jong intervistata dalla Gruber a “Otto e mezzo” (La7). Sarà!…. sta di fatto che più “scioccante” di lei è stato senz’altro l’altro ospite della trasmissione, il giornalista Giampiero Mughini, a mio avviso felicemente candidato a diventare la seconda maschera dell’Italia moderna dopo quella immortale dell’immenso Totò.


Seduto tra la conduttrice e il mito femminista americano, Mughini si muoveva sulla sedia alla stregua di un Giamburrasca di terzo o quarto pelo: si dimenava, smanacciava, guardava in alto come ad attendere improvvisa illuminazione, guardava dovunque tranne in direzione dell’altra ospite. “Mi scusi” si è inalberata a quel punto Erica Jong “io sono una scrittrice, sono abituata a capire il linguaggio del corpo: lei non mi sta guardando… perché non si rivolge direttamente a me? Il linguaggio del suo corpo mi dice che lei pensa che ciò che sto dicendo non abbia alcun valore…”.

“Giampiero, vuoi riflettere su questa osservazione?” si è intromessa la Gruber. “No” ha ribadito Mughini “non mi sento coinvolto da questa critica”. Tecnicamente occorrerebbe stare dalla parte della Jong, soprattutto perché la signora proprio in quel momento stava parlando di questioni molto serie come la non eguaglianza che esiste tra potere femminile e potere economico e stava parlando del caso molto pratico Hillary Clinton, laddove questa donna straordinaria candidata alla presidenza USA viene impunemente e continuativamente sbeffeggiata e criticata da elementi maschili decisamente meno capaci di lei.

Il problema della Jong era dato però dai suoi interventi scontati, dalle osservazioni banali, demodé, dal suo apparire lontana anni luce dal suo stesso mito. Ad un tratto si è finanche trasformata in dimostrazione plastica del fatto che le frontiere (o le utopie), le sfide del femminismo digitale sono ben diverse da quelle del femminismo “epico” e partono tutte da “dentro” le donne, non da elementi esteriori, epidermici. “Non mi starai dicendo che le donne in quanto tali portano virtù e meraviglia? Mi pare una verità insopportabile” l’ha infatti messa all’angolo Mughini (stranamente agitato, o preoccupato, o commosso?), con un colpo da maestro degno del miglior Oscar Wilde. Subito dopo il giornalista ha candidamente confessato: “Cosa lascerò ai posteri? Io? Assolutamente nulla! Figurati, viviamo una società che dimentica ciò che è accaduto quarantotto ore prima!”.

All’inizio della puntata invece ci aveva deliziato con un momento poetico straordinario in virtù del quale gli perdoniamo sia la mancanza di maggior riguardo nei confronti della Jong ma soprattutto la troppa leggerezza con cui ha affrontato il problema “femminismo” al tempo di Internet: “Solo l’anno scorso ho notato che sedeva accanto a me una dama che non avevo invitato: era la vecchiaia ed era molto presente”.

Chapeau!