E infatti Dustwalker mostra una band competente e ricchissima di idee, cosa evidente non tanto dall’ottima opener, una botta di post-black sgraziato e urlato, ma dalla seconda traccia, Hands of Dust, canzone stellare, quasi dodici minuti di progressione sonora dove la delicatezza amara degli arpeggi iniziali sfuma in fughe psichedeliche e vibranti melodie, lascia man mano il posto a riff sempre più robusti fino all’esplosione in blast beat e screaming vocals. Gli altri quattro brani seguono felicemente lo stesso schema, tra melodie oblique che ricordano le migliori band strumentali e passaggi puliti e delicati figli di un certo amore per il prog rock di una volta, per concludere con il tour de force di Walking the Crowpath, dove la miscela di elementi che caratterizzano il sound degli inglesi trova la sua miglior espressione in una suite elegante e aspra, malinconica e violenta, squisita e cervellotica.
E infatti Dustwalker mostra una band competente e ricchissima di idee, cosa evidente non tanto dall’ottima opener, una botta di post-black sgraziato e urlato, ma dalla seconda traccia, Hands of Dust, canzone stellare, quasi dodici minuti di progressione sonora dove la delicatezza amara degli arpeggi iniziali sfuma in fughe psichedeliche e vibranti melodie, lascia man mano il posto a riff sempre più robusti fino all’esplosione in blast beat e screaming vocals. Gli altri quattro brani seguono felicemente lo stesso schema, tra melodie oblique che ricordano le migliori band strumentali e passaggi puliti e delicati figli di un certo amore per il prog rock di una volta, per concludere con il tour de force di Walking the Crowpath, dove la miscela di elementi che caratterizzano il sound degli inglesi trova la sua miglior espressione in una suite elegante e aspra, malinconica e violenta, squisita e cervellotica.