E tuttavia, Zalone, al secolo Luca Medici, è laureato in giurisprudenza ed è un musicista jazz niente male, la sua conoscenza musicale gli consente di comporre le sue canzoni, spesso sul motivo di qualche successo conosciuto, e ha determinato il successo di Siamo una squadra fortissimi, pezzo nato per scherzo, durante i mondiali di calcio del 2006. E così, appurata la sua formazione multidisciplinare, non è forse lecito chiedersi perché il buon Luca non abbia arricchito i suoi personaggi di una qualche riflessione un pelino più profonda rispetto al mono-espressivo Checco, un po’ ottuso, ignorante, lievemente inutile, ma, bisogna ammetterlo, dotato di un’emotività tale da superare molti limiti?
Ecco perché il film concorrente, Qualunquemente di Antonio Albanese, ha già superato gli incassi di Zalone in poche settimane, ed ecco perché, sebbene abbia delle riserve anche su Albanese, penso che quest’ultimo abbia una comicità più incisiva, e allo stesso tempo più critica, pensata, amara. C’è in Albanese una coscienza critica più marcata, coscienza che conferisce un carattere forse più cinico e meno ridanciano (sebbene si rida moltissimo guardando Qualunquemente) della media delle performance di Zalone, ma sicuramente più aderente alla realtà nella quale viviamo, più “utile” ai fini del risveglio della coscienza assopita dello spettatore.
Ma di cosa parla Che bella giornata? Checco è un bodyguard che tenta in tutti i modi di fare carriera, e, grazie ad una serie di agganci e raccomandazioni, finisce come addetto alla sicurezza del Duomo di Milano, sebbene sia impreparato e incapace. Viene irretito da Farah, una ragazza araba che si finge studentessa interessata alle bellezze artistiche del Duomo, ma che in realtà sta tramando un attacco terroristico ad un luogo simbolo della religione cattolica. E anche qui i luoghi comuni sull’Altro, sulla differenza di genere, di cultura, di religione, e così via, si sprecano, intrecciati con una storiella pseudoamorosa messa lì appositamente per non somministrare la definitiva dose di fase rem al pubblico.
Mi sono documentata, e da alcune interviste pare che Checco abbia più volte affermato che la politica non gli interessa, che non ne capisce molto, che la sua comicità non ha niente a che vedere con l’argomento. Ho visto l’intervista di Serena Dandini a Parla con me, e Zalone mi è sembrato un ragazzone intelligente e tutto tranne che ignorante, ma anche lì ci ha tenuto a precisare che la sua comicità è priva di risvolti politici. Ma la critica sociale non può non avere a che fare con la politica, e senza una riflessione critica, i personaggi di Zalone, con i loro limiti, i tic, le lacune, l’ignoranza, l’illegalità dei comportamenti, sono mascherine banali, da una risata e via, senza tridimensionalità. E, cosa ancora più grave, nella leggerezza generale, non è più chiaro cosa è giusto e cosa debba essere rifuggito, e lo spettatore non ha stimoli, eccezion fatta per la risata immediata, momentanea, e fine a sè stessa. Ecco, dunque, che i miei dubbi su Checco Zalone, e sul suo ultimo film, diventano fondati, e comprendo perché l’enorme e imprevisto successo di pubblico abbia destato i miei sospetti: non è forse il protocollo vanziniano quello per cui la situazione comica stimola la risata, al limite della volgarità, spegnendo via via ogni zona del cervello, rendendo lo spettatore passivo e sempre meno incline all’indignazione, e, quindi, al cambiamento? Non è forse conforme alle istanze dell’attuale regime mediatico il sorriso leggero e privo di conseguenze del telespettatore-elettore che si convince che non ci sia niente da cambiare in questa realtà così bassa?