Jean-Paul Sartre l’aveva capito molti anni fa dicendo: “La patria, l’onore e la libertà non sono niente. L’universo intero gira intorno a un paio di chiappe”. Una delle più grandi passioni di artisti, registi, stilisti e scrittori di fama internazionale. Honoré de Balzac nel 1830 nel suo “Traité de la vie élégante” diceva: “Camminando le donne possono mostrare tutto, senza lasciar vedere nulla”. Brigitte Bardot sussurrava in uno dei suoi film più celebri: “Tu les aimes, mes fesses?” (Tu lo ami, il mio sedere?), mentre Rimbaud e Rubens non si lasciavano sfuggire l’occasione di immortalare il loro amore per la parte posteriore del corpo femminile.
Ma non è stato sempre così.
I glutei, gluotòs dal greco, siano stati spesso considerati degni di biasimo. Le principali religioni hanno fatto delle terga l’oggetto di vari tabù. Uniscono in sé le condizioni di parte posteriore e zona bassa del corpo. Da un punto di vista sessuale, rimandano ai rapporti consumati more ferarum, ossia “alla maniera delle bestie”, senza poter guardare negli occhi il partner. Non offrono nemmeno l’espressività che possiedono altre parti del corpo più “nobili”, quali il viso, le mani gli occhi, localizzate tutte nella parte “alta” dell’uomo e quindi messe in relazione con la sua spiritualità. Il “c*lo”, invece riguarda l’espulsione delle scorie, quindi il lato più animalesco e – per gli antichi – vile della persona. Per l’islam, per esempio, il Corano vieta tassativamente che si entri in contatto con tale parte del corpo, mentre l’ebraismo ordina agli uomini di non spogliarsi voltando la schiena a nord o a sud. E anche l’apostolo Paolo la giudicò la parte più indegna del corpo. E ci si accanì con grande impegno su quella parte, anche fisicamente, facendone uno dei bersagli preferiti delle punizioni corporali: la sculacciata è stata considerata, per secoli, strumento indispensabile nell’educazione, soprattutto in istituti religiosi e nei conventi. In Francia, durante il periodo del Terrore, fu introdotta anche una sorta di “sculacciata rivoluzionaria”; una forma di rito anticlericale pubblico inflitto soprattutto alle suore, non senza un certo piacere voyeuristico da parte delle folle. Del resto, l’erotismo della frusta, ha avuto nei secoli, illustri seguaci: Caterina de’ Medici (1519-1589) riservava alle natiche delle sue dame, forse consenzienti, un personale godimento per questo trattamento. Anche nella Roma di duemila anni fa, le neofite venivano frustate sulle terga, come testimoniano immagini dipinte sui muri di una villa di Pompei.
L’etologo inglese Desmond Morris, come ha spiegato nel corso dei suoi studi, l’appartenenza di questa caratteristica, che: “è prerogativa solo della specie umana”, come disse il naturalista francese George-Louis Leclerc (1707-1788), ha assunto, nel corso dei secoli, anche altri valori simbolici, non sempre negativi. L’aspetto erotico, ad esempio, ha radici molto antiche.
Nel 2009 nella grotta di Hohler Fels, nella Germania Meridionale, è stata scoperta un’immagine umana risalente a un periodo fra i 35 e 40 mila anni fa. Questa figura di donna, intagliata nella pietra, ha fianchi larghi e natiche enormi. Considerando il carattere realistico dell’arte paleolitica, secondo Desmond Morris, queste “pin-up” preistoriche avevano sederi così evidenti perché l’accoppiamento avveniva da tergo, e le femmine con grandi posteriori inviavano segnali sessuali forti. Le misure delle natiche, come nelle statue greche, durante gli anni si fecero via via, più contenute, associate a un ideale estetico, erano considerate degne d’ammirazione e persino di devozione. Una statua di Afrodite Callipigia – letteralmente “dalle belle natiche”-, in questo tipo di scultura la dea è colta nel gesto di alzare il peplo scoprendo un fondoschiena di proporzioni perfette.
Quel rituale, nella cultura mediterranea, si chiamava anasyrma (“denudamento”). Il rito di alzarsi le vesti e mettere a nudo le parti intime, serviva al fine di cacciare le influenze negative e propiziare un buon raccolto, anche le sacerdotesse della divinità Demetra eseguivano tali rituali.
Porgere le natiche era un gesto ricorrente, nel Medioevo, anche nella quotidianità. E persino nelle solennità nell’ambito religioso, quando la contaminazione tra elementi sacri e profani era la norma. Nelle chiese, per esempio, si trovava spesso un piccolo spazio, un capitello di solito scolpito con soggetti dedicati all’irrisione, alla sconcezza, all’umorismo popolare o alle attività più triviali dell’uomo come mangiare, bere, defecare o fornicare.
Ma com’era possibile che nella mentalità dell’uomo medioevale, piena di cristianesimo, il sedere abbia mantenuto quell’antica valenza positiva?
Sempre secondo l’etologo Desmond Morris, nell’Europa medioevale, attraverso i testi antichi, riapparve l’idea greca dei glutei come attributo umano, che faceva la differenza tra uomini e bestie. Copsì Caesarius di Heisterbach (morto nel 1240), abate tedesco di Colonia, nel suo Dialogus mirac*lorum sentenziò che Satana non possedeva natiche. E’ la prova che si era oramai diffusa l’idea che il diavolo, malgrado la sua capacità di imitare la forma umana, non riuscisse a riprodurre il “lato B”. E che per questo non ne tollerasse la vista, tanto da fuggire immancabilmente di fronte a un paio di natiche nude. Ciò spiegherebbe anche perché qualche secolo più tardi, nel 1532, Martin Lutero, continuamente tentato dal demonio, scrisse di essere riuscito una notte a zittirlo proferendo un sonoro “le*cami il c*lo”.
Le natiche anti-Satana si trovano spesso rappresentate nelle statue che decorano chiese e fortificazioni gotiche: poste vicino all’ingresso, avevano lo scopo di impedire l’accesso agli spiriti maligni. Allo stesso modo, in area germanica, durante i temporali, le donne avevano l’abitudine di esporre il posteriore dalle case, nella convinzione di prevenire danni. Un ritorno in salsa medioevale delle sacerdotesse di Demetra?
Se l’ostentazione femminile delle natiche, collettiva o individuale, è stata a lungo legata alla fertilità e alla fortuna, quella maschile ha assunto nei secoli un carattere aggressivo, legato a contesti militari o alla messa in ridicolo dell’avversario. Nella sua Guerra giudaica lo storico romano Giuseppe Flavio racconta che nell’anno 66 d.C., mentre gli ebrei lanciavano pietre durante la rivolta antiromana, i legionari mostravano le terga. Una scena simile si ripeté, nel Medioevo nel corso della quarta crociata. Durante l’assedio di Costantinopoli, allora capitale bizantina, da parte dei cristiani (1024), gli assediati mostrarono le natiche nude dalle mura dopo aver respinto un attacco. All’epoca era abituale iniziare una battaglia con una serie di oscenità collettive da parte degli eserciti in campo.
E oggi?
Se un tempo toccare le natiche era una passione soprattutto maschile. Adesso lo fanno con gusto anche le donne: una ricerca americana ha rivelato che tra amici di sesso diverso sono le femmine a toccare più di frequente il sedere dei ragazzi. La sessuologa Luisa Rivolta dice che anche per le donne il fondoschiena rappresenta un forte stimolo erotico: “Natiche sode e ben fatte sono legate alla forza e al potere riproduttivo.” I maschi che amano un sedere femminile prosperoso sarebbero buoni organizzatori e padri di famiglia, quelli che preferiscono un sedere piccolo avrebbero un’indole filosofica. E quindi, la parte anatomica più estesa del corpo umano, impossibile da occultare, ai giorni nostri, esibita come maggior richiamo sessuale sotto strettissimi jeans o tanga lillipuziani, la natica rivendica dunque il suo posto e la sua storia in Occidente.
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