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Fenomenologia di Maurizio Crozza: il comico nella crisi. E sull’Oscar-ciofo alla Lega.

Creato il 31 maggio 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Fenomenologia di Maurizio Crozza: il comico nella crisi. E sull’Oscar-ciofo alla Lega.di Rina Brundu. Ovviamente, il “comico nella crisi” non è Maurizio Crozza. Il comico nella crisi è tutto ciò che di grottesco, bizzarro, strambo, stravagante, buffo, mostruoso, tragico, paradossale, incredibile, straordinario è avvenuto negli ultimi anni e negli ultimi mesi a livello economico e politico nella repubblica italica. In questo senso l’Oscar-ciofo va senz’altro alla Lega Nord che è davvero andata (anche se in diverse situazioni ce l’hanno mandata) dove nessun comico aveva mai osato prima. A dirla tutta il leghismo è giunto dove neppure il berlusconismo più gaudente aveva mai pensato di poter arrivare.  O gli è stato concesso di arrivare. Le faccende dei diamanti, del bankomat-umano, degli investimenti in Tanzania e, last but not least, della laurea in Albania (tutto ci si aspettava tranne che i leghisti duri e puri si recassero proprio colà ad acculturarsi!), rientrano tra quelle circostanze molto peculiari governate dalla logica del “non è vero ma ci credo” o, in alternativa, dalla ferrea legge del celeberrimo commento scettico inglese “weirder things have happened but not to reliable witnesses”.

Perché se è vero che ridere fa buon sangue, far ridere dilapidando il denaro pubblico è altra cosa. Specialmente in tempi di crisi e in tempi di terremoti che di obbedire ai commandi dell’austerity merkeliana non ne vogliono proprio sentire. Ne deriva che in fondo in fondo tutto il “riso” nella crisi, della crisi e sulla crisi è stato soprattutto riso amaro. In breve, si è riso per non piangere. Si è riso per un pavloviano riflesso condizionato. Si è riso perché era tutto ciò che ci si poteva permettere senza che il tecnocraticismo imperante ci caricasse sopra una esosa fiscalità. Quindi si è riso perché una qualche parvenza di normalità bisognava mantenerla e il ridere faceva al caso nostro. E si è riso dappertutto. Si è riso nei blog, via-video postati, via commenti incazzati, via vignette umoristiche, dissacranti, sarcastiche, ironiche. Si è riso online così come per strada e dovunque serpeggiasse ancora quel senso rabelaisiano di normalità-distorta che può essere catturato, nella sua giusta prospettiva, solo da una intelligenza pronta. Dulcis in fundo, si è riso contro i gendarmi dell’ortodossia etica, religiosa, politica che, è noto, tendono a rialzare la testa proprio nei tempi difficili.

Dentro questo contesto atipico, anomalo, fortunatamente inconsueto, si può senz’altro dire che se Maurizio Crozza non è “il comico nella crisi” è stato ed è senz’altro il comico della crisi. Colui che meglio dei suoi colleghi ha saputo raccontarla, proponendo un modello di comicità complesso e semplice ad un tempo, ma soprattutto valido. L’intrattenitore Crozza è infatti cresciuto moltio dai giorni di “Quelli che il calcio…” e da quel tempo in poi non si contano le sue parodie e/o imitazioni di tutto ciò che è “pubblico” e “politico”. E che interessa in quanto tale. Fenomenale, tra gli altri, il siparietto Kazzenger, “il programma che dà del tu alla scienza, del lei alla divulgazione ma quando incontra la consecutio temporum neanche la saluta” (Crozzalive e Italialand, La7), dove Crozza imita il giornalista Roberto Giacobbo. Quale miglior occasione, insomma, per continuare la gavetta se non facendo il verso a una produzione (Voyager) e ad un presentatore di successo che hanno sempre celebrato lo straordinario (o pseudo tale) nell’ordinario. Fermo restando che gli scandali politici italiani, sotto qualunque bandiera partitica avvengano, celebrano purtroppo l’ordinario nell’ordinario.

È indubbio infatti che sia stata soprattutto la politica la fonte di ispirazione privilegiata del comico genovese (no, non sto parlando di Grillo!), anche se Crozza ha il merito di aver saputo montare il “cavallo vincente” senza essersi fatto a sua volta domare. Senza affittare la sua arte alle necessità di questo o di quel padrino. Un fool shakesperiano nobile dunque. Un fool capace di evidenziare l’alienazione dei tempi esattamente come il suo personalissimo fool sottolineava la pazzia di Lear. Un bardo, un cantore sui generis dell’universo post-digitale. Di buono c’è che, se tutto torna, la materia prima per farci sorridere una volta di più non dovrebbe mancargli per molto tempo ancora, anche perché la casta starà pure con l’acqua alla gola ma è sicuramente lontana dall’esalare l’ultimo respiro. Del resto, cosa sarebbe un re… pardon, la Politica senza il suo giullare? Forse solo un’occasione in più per permettere al capitalismo di fottere gli operai, al governo di dormire, al popolo di urlare inascoltato e al futuro di emettere il primo vagito quando già ricoperto dalla… merda. Fino al collo!

Featured image, piantagione di carciofi, fonte Wikipedia.


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