Ferdinando i e cosimo ii de’ medici

Creato il 07 marzo 2014 da Postpopuli @PostPopuli

Siamo alla ventiseiesima puntata della serie di articoli di Luca Moreno sulla storia di Firenze. Le immagini sono numerate in continuità con quelle del venticinquesimo articolo.

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Ferdinando I e Cosimo II de’ Medici

di Luca Moreno

Figura 74: Ferdinando I (da Wikipedia)

Riprendiamo la nostra narrazione con Ferdinando I de’ Medici (1549-1609) (figura 74) che sale al trono nel 1587, dopo aver rinunciato alla porpora cardinalizia e soprattutto dopo aver imparato alla Corte dei Papi come si amministra uno Stato. Ora però ci voleva una moglie per l’ex cardinale, e la prescelta fu una nipote di Caterina de’ Medici, Cristina di Lorena; un matrimonio che rassicurava la Francia, anche se contemporaneamente Ferdinando volle avvertire Madrid che questa sua unione non avrebbe mutato quel clima di buone relazioni, che durava ormai da più di cinquant’anni, fra il suo Stato e la Spagna; tuttavia i legami che stringevano Firenze a Parigi erano tali che il sospetto che ci fosse fra i due Stati una precisa alleanza era assai consistente.

Cristina fu accolta a Firenze con grandi feste; il cortile di Palazzo Pitti fu affidato alle cure del Buontalenti per essere trasformato in una sorta di specchio di mare, dove fu fatta una rappresentazione che simulava una battaglia navale. Da questa unione – Cristina di Lorena, ventiquattrenne e Ferdinando, quarantenne – ci si aspettava l’erede al trono di Toscana; e la coppia non deluse, visto che nacquero ben nove figli, cinque maschi e quattro femmine. Cosimo, che sarà Granduca; Eleonora, che muore giovane di vaiolo; Caterina, sposata a Ferdinando Gonzaga, Duca di Mantova; Francesco, un eterno indeciso che scompare a venti anni; Carlo un gaudente, nonostante Cristina, religiosissima, avesse sperato di farne un cardinale; Filippino, morto a cinque anni e Lorenzo, anche lui dedito alle feste e alla vita dissipata. Maddalena e Claudia chiusero la serie, destinate la prima a una triste esistenza di malattia, vissuta in un convento, e la seconda ad avere come figlia Vittoria, futura moglie del Granduca di Toscana, Ferdinando II.

Firenze era soddisfatta del nuovo sovrano, che aveva tutte le doti per essere un buon Principe; e la città ormai aveva scoperto che un buon Principe vale più di una confusa Repubblica; i sogni di libertà di ieri si erano trasformati nelle esigenze concrete dell’oggi. Avere ordine all’interno dello Stato e sapere di essere amministrati da un’efficiente struttura non soggetta ai capricci dell’elezione e sottratta quindi alla volubilità del caso, rassicurava i fiorentini e – insieme a loro – tutti gli abitanti dello Stato di Toscana. Settantamila abitanti a Firenze non erano poi molti, ma c’è da pensare che Firenze non invidiasse quei centri italiani, come Milano, Roma o Venezia, che ne avevano un numero nettamente superiore: l’essere in pochi permetteva di non avere disoccupati; artigianato e fabbriche, ora con prodotti quasi industriali, funzionavano bene. Le modifiche alla struttura urbanistica non avevano guastato l’antico volto della città: il prolungamento degli Uffizi aveva richiesto la distruzione di un quartiere, peraltro composto di poche case popolari, ma aveva anche arricchito di nuova bellezza il centro fiorentino.

Figura 75: la palazzina di Forte Belvedere (da Wikipedia)

Fra il 1590 e il 1595 venne costruita la Fortezza di Santa Maria in San Giorgio del Belvedere, detta Forte Belvedere (figura 75) un edificio a metà fra il militare e la residenza di un Principe e, nel 1604, ebbe inizio la costruzione della Cappella dei Principi (figura 76) che, completando le realizzazioni già esistenti, si pone come struttura centrale delle Cappelle Medicee – il “Pantheon” dei Medici – situate nella zona di San Lorenzo, che, come ormai sappiamo, è la base storica della famiglia Medici. Fu inoltre favorita l’iniziativa di quanti volessero migliorare le loro residenze con opere di abbellimento delle facciate, rese ora più eleganti da tutto un lavoro di stucchi e affreschi, che trasformarono il volto di alcune strade di Firenze. Ferdinando provvide poi ad arricchire la raccolta degli Uffizi con statue classiche – trasferite dalle sue proprietà – e a mostrarsi mecenate dei musicisti, offrendo aiuti alla Camerata dei Bardi, che ha il merito storico di aver inventato il genere che sarà poi chiamato “opera lirica”.

In grande anticipo sulle regole d’oggi, lo vediamo poi promulgare una legge che vieta l’esportazione delle opere d’arte: è geloso del primato artistico di Firenze e non vuole che esso sia in alcun modo danneggiato. Il fratello Francesco aveva aumentato il numero delle ville di famiglia con Villa Pratolino – divenuta il rifugio d’amore per lui e la Cappello, quando ancora non erano sposati – e ora Ferdinando aggiunge, tra le altre, la Villa Ambrogiana, vicino a Montelupo, portando anche a compimento tutti i lavori per un’altra delle perle delle residenze medicee: la Villa di Artimino, che poi prediligerà. Insomma, Ferdinando I il buon Principe; l’ideale continuatore dell’opera del padre Cosimo, sia come uomo politico che come mecenate e continuatore di Cosimo, anche perché, come il padre, seppe guardare non solo a Firenze, ma anche alle altre città della Toscana: in particolare la sua amata Livorno; e poi Pisa, che dotò di un porto artificiale, dopo quello che essa aveva perduto con i mutamenti naturali della costa. In effetti, questo Granduca seppe non solo ben operare nei riguardi dello Stato, ma anche dominare se stesso, rinunciando alla vita dissipata e gaudente che lo aveva caratterizzato ai tempi in cui indossava la porpora cardinalizia; un cambiamento che gli consentì di vivere a lungo, in armonia con la moglie, che lo consigliava molto bene, e apprezzato dai sudditi.

La sua scomparsa avvenne il 7 febbraio del 1609, e Ferdinando inaugurò, con le sue spoglie, le nuove tombe dei Medici. Con la sua morte termina la fase più elevata della storia del Principato mediceo, poiché con i successivi Granduchi le ombre prevarranno, progressivamente e inesorabilmente, a segnare un processo in cui la Toscana conoscerà l’estinzione della sua Casa regnante e una generale decadenza.

Cosimo II (da Wikipedia)

Il personaggio che apre le danze della nuova fase della storia del Principato mediceo è Cosimo II de’ Medici (1590-1621) (figura 77), che non ebbe nessuna delle doti del padre. Quando salì al trono non era neppure ventenne, ma già minato dalla tubercolosi e dalla gotta, il male di famiglia. Il suo governo resse più per l’autorità esercitata dalla madre Cristina di Lorena e dalla moglie Maria Maddalena d’Austria che non per sua iniziativa. Fallì soprattutto in politica estera dove, volendo continuare nella linea dei suoi predecessori, non seppe mantenersi nel difficile gioco di equilibri che avrebbe dovuto consentirgli buoni rapporti sia con la Francia che con la Spagna. A Palazzo Pitti poi prese piede un’assurda per non dire ridicola situazione, in cui le due donne – madre e moglie – mescolavano una fede portata all’esasperazione a un fasto esagerato, esibito dalla vecchia aristocrazia che cercava di sbarrare il passo alle famiglie borghesi, tutte tese a ottenere un titolo nobiliare; nulla, sia chiaro, che avesse a che vedere con la politica, ma solo con il desiderio di conquistare i posti più importanti nei salotti.

Firenze assiste alla trasformazione di quella sua antica classe di mercanti, che aveva formato la spina dorsale di tutta la sua vita economica, in cortigiani che s’illudono di essersi ormai assicurati un futuro che non avrebbe mai sofferto recessioni; invece, a partire dal 1620, anche a causa del crescere delle spese per il mantenimento della Corte granducale, le imprese cominciano a declinare e le tasse ad aumentare; senza contare il progressivo scadimento della struttura amministrativa, che sempre più pesava sul pubblico erario. A essere precisi, finché regna Cosimo, che ha il merito (o la fortuna) di essere il primo a gestire una situazione non ancora gravemente compromessa, di tutto ciò non si vedono ancora i segni evidenti; ma sarà proprio la debolezza d’intuito politico e dello spirito riformatore di questi ultimi Medici, di cui Cosimo II è capostipite ideale, a far maturare le problematiche future.

Il suo matrimonio fu prolifico, ma fu l’ultimo con questa caratteristica: Maria Cristina, nata deforme, morì nel 1632; Giovan Carlo diventò Cardinale; Margherita sposò Odoardo I Farnese, Duca di Parma; Francesco fu destinato alla carriera militare; Mattias diventò Capitano d’armi e Governatore di Siena; Anna sposerà Ferdinando Carlo, Arciduca d’Austria; Leopoldo sarà anch’egli Cardinale; e infine l’erede al trono, il maschio primogenito, Ferdinando, che sposerà Vittoria della Rovere, figlia di Federico Ubaldo della Rovere, Duca di Urbino.

Intanto in Francia la Regina Maria, figlia di Francesco I, ci metteva del suo per contribuire ad appannare il nome dei Medici in Europa: intrighi, amicizie ambigue e inopportune la porteranno a essere estromessa dalla Corte, mentre la Spagna trovava buon gioco, in questa situazione, a ricordare che la Toscana era uno Stato nato sotto la sua protezione e quindi suo vassallo.

Non che manchino le luci, nel regno di questo Principe sfortunato: si dedicò assiduamente allo sviluppo della flotta, che in quegli anni si distinse in alcune azioni contro gli Ottomani, nonché a potenziare il Porto di Livorno, riconfermando l’interesse che già il padre aveva per quella città ma, nel contempo, ridimensionandone i progetti troppo grandiosi per il bacino d’utenza, essenzialmente limitato al territorio granducale; e poi s’impegnò a far sì che Galileo Galilei insegnasse all’Università di Pisa, dove lo scienziato ottenne uno stipendio adatto alla sua fama, nonché il titolo di Matematico soprastraordinario: una prova di grande stima, e anche un ringraziamento per il Galilei, che aveva voluto dare il nome ai satelliti di Giove – da lui scoperti – di “Stelle medicee”; tuttavia, il ritorno in Toscana del grande studioso non fu una scelta felice, perché s’aprirono di lì a poco quelle polemiche, mosse proprio all’interno della cerchia dei teologi legati alla Corte dei Medici, che fecero passare Galileo per una sorta di predicatore di eresie, con tristi conseguenze per lo scienziato.

Con il trascorrere degli anni, Cosimo perdeva sempre più le sue forze; la tisi lo costringeva nella sua stanza da letto, dove morì poco più che trentenne, il 28 febbraio 1621.

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