Michele Boldrin è stato eletto nuovo presidente di “Fare per Fermare il declino”. Nonostante i suoi titoli di studio siano veri, i fatti che espone non sempre sono altrettanto certificati. E’ il caso di quanto egli ha sostenuto giovedì scorso nella trasmissione di Michele Santoro, dedicata alla scuola pubblica e ai sussidi per quella privata, oggetto del referendum che si terrà la prossima settimana a Bologna.
1. Mamma li Turchi!
In primo luogo, Boldrin ha affermato che, secondo i dati del test “PISA” (condotti dall’OCSE), che misura la preparazione degli studenti, l’Italia si collocherebbe addirittura dopo la Turchia. E’ vero? Come spiega il sito “Roars”, no. Anzi, le capacità matematiche e scientifiche tra gli anni 2003-2009 (matematica) e 2006-2009 (scienze) sono notevolmente migliorate. Il confronto diretto con la Turchia, poi, ci vede (per fortuna) vincitori. E’ pur vero che potremmo e dovremmo fare di più e meglio, ma in fondo in abilità di lettura e scienze siamo appena sotto la Francia e a poca distanza dalla Germania. I nostri studenti fanno peggio in matematica, ma comunque meglio dei turchi.
2. I debiti degli studenti americani
Rispondendo ad una sollecitazione di Serena Dandini, Michele Boldrin ha affermato che il fenomeno degli studenti americani indebitati è marginale e riguarda sostanzialmente quelli “meno bravi”, che non riescono a vincere le borse di studio ma insistono nel voler frequentare una università privata. Ma è davvero così marginale? I dati dicono di no. Il totale debito degli studenti USA e arrivato, secondo la Federal Reserve, a quasi 1000 miliardi di dollari nel quarto trimestre 2012 (superando addirittura le carte di credito), suddivisi in 37 milioni di prestiti. Circa l’86% di questa cifra è garantita da prestiti del governo federale. Circa il 60% degli studenti americani è indebitato e il 40% di quelli sotto il 25 anni. L’ammontare dei mutui è triplicato dal 2004 al 2012. E, cosa più grave, l’andamento dei redditi è cresciuto molto meno di quello dei debiti. Qualcuno ha in effetti paragonato il fenomeno ai mutui “sub prime”. Inoltre la percentuale di ritardi o mancati pagamenti è cresciuta durante la crisi e oggi, tra coloro che stanno effettivamente ripagando, è arrivata al 30%. Tali incrementi non devono sorprendere, data la crescita dei costi per gli studenti, molto maggiore dell’inflazione (dal 1990, tre volte per l’educazione contro circa l’80% del livello generale dei prezzi).
Alcuni numeri aggiuntivi sono reperibili in questo recente articolo del Guardian: http://www.guardian.co.uk/money/2013/apr/03/student-loan-debt-america-by-the-numbers e in questo report della Federal Reserve di NY: http://www.newyorkfed.org/newsevents/mediaadvisory/2013/Lee022813.pdf
3. Il privato è peggio del pubblico
Altra affermazione sorprendente di Boldrin riguarda la presunta equivalenza tra qualità della scuola pubblica e della scuola privata. Secondo l’economista “amerikano”, infatti, non conta se l’insegnante è un “funzionario dello stato” o un dipendente privato. Quindi lo stato deve sovvenzionare le scuole private poiché i due servizi sarebbero equivalenti e perché, sempre secondo Boldrin, ciò che importa è che il finanziamento sia pubblico, non l’ente che fornisce il servizio. Ma è davvero così? Non per l’Italia. Questi sono i dati del Test PISA.
Test PISA: Valore mediano misurato sugli studenti quindicenni italiani che frequentano il secondo anno degli istituti classificati sulla base dell’assetto istituzionale /2006)
Come si nota, gli studenti della scuola pubblica sono più bravi. Non solo: gli studenti peggiori (e in misura non certo trascurabile) sono proprio quelli delle scuole private “assistite” dallo stato (le cosiddette paritarie). Ad ogni modo, gli studenti delle scuole pubbliche risultano più bravi anche di quelli delle private non assistite. (cfr. articolo su Lavoce.info)
E’ singolare che Boldrin, il quale sostiene che gli incentivi alle aziende distorcono il mercato favorendo imprese inefficienti, non consideri la possibilità che lo stesso fenomeno possa colpire proprio le scuole. In alternativa, si può ipotizzare un meccanismo di autoselezione: gli studenti meno preparati scelgono le private/paritarie perché più facili. Ma allora perché lo stato dovrebbe incentivare scuole di minore qualità?
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