Non so se sono io o è un problema più comune. Non riesco a fermarmi. Parto la mattina (a fatica) e poi tutto si srotola davanti ai miei occhi ad una velocità inverosimile e io sono parte integrante dell'ingranaggio. Non riesco a stoppare questo tumulto, non riesco a fermarmi.
L'elenco giorno per giorno varia di poco poco:
sveglia
preparazione bambini
accompagnamento bambini
cappuccio con brioche (OHHHH, 15 minuti prima dell'apoteosi)
lavoro
prendere un bambino
pranzare
stirare o sistemare o stendere
prendere il secondo bambino
basket o spesa o parchetto
preparazione cena
cena
messa a letto
computer
libro
nanna
E i giorni mi si snocciolano davanti e ieri era lunedì e domani è già sabato. E anche le prossime settimane sono intervallate da cose da fare, da puntelli formati da appuntamenti o scadenze. Oggi mi ritrovavo a rimpiangere quei mesi seguiti alla nascita del Tre, così splendidamente vuoti, sgombri di date e di orari.
Mi sento un po' come queste persone viste da lontano che corrono corrono senza motivo apparente.
E quella musica perfetta di Philip Glass mi torna in mente sempre e sempre perché quello è il mio ritmo troppo spesso. E la sera, stanca e afflitta e arrabbiata, nulla smuove quel metronomo veloce. Solo ritrovarmi seduta al tavolo senza rumori se non il leggero russare dei bambini mi calma, una calma che mi dice solo che così non va bene.
A volte cado nell'errore di pensare che muoversi per un motivo valido, per uno scopo buono e giusto, sia sufficiente a giustificare il mio moto perpetuo. Ma no, cara me. Non funziona così. Sedersi immobili e stare. Questo è molto più saggio. Per lo meno intervallare, per fare in modo di non perdere il filo che lega il senso delle cose.
Io questo film l'ho conosciuto al liceo, anche se è del 1983. A 14 anni già facevo l'intellettuale che non va in disco ma che si spara due ore di cinema d'essay ogni sera. Volevo marcare la mia diversità da un mondo, quello dei miei coetanei, a cui non mi sentivo di appartenere o a cui gli altri faticavano a farmi appartenere. Quel film rappresentava per me tutto quello che non avrei voluto essere, né vedere nella mia vita e tutto quello per cui lottare nel mio lontano futuro.Ed eccomi qua. Sono grande ormai, abbastanza grande per sapere che quel mondo lì rappresentato è il nostro mondo, nessuno escluso. E' doloroso a volte ammetterlo, ma aiuta tanto. Che sempre per gli stessi motivi vivo e anche questo non è male. Ricapitolare a che punto si è. Chiedersi cosa volevamo a 14 anni e ripercorrere il tragitto e chiedersi se un minimo di senso può esserci. Insomma, fermarsi. Un po'.
KOYAANISQATSI di G. Reggio (1983)
P.S. Koyaanisqatsi secondo la lingua nei nativi americani, vuol dire vita senza equilibrio. Per una meravigliosa analisi del complessissimo film (tre anni di riprese e il digitale non era ancora nato!!) vi rimando a questo meraviglioso lavoro.