Antonio Pettierre
Fermo immagine - museo del manifesto cinematografico milano. tatoocineart
Creato il 13 marzo 2016 da Veripaccheri
TattooCineArt
“Lo spirito del tatuaggio dalla tradizione
all’immaginario cinematografico”
12-25 marzo 2016 a Fermo Immagine-Museo del Manifesto Cinematografico Milano
È stata inaugurata sabato 12 marzo la mostra “TattooCineArt”,
curata da Sara Perucchini e con la collaborazione alla comunicazione di Giulia
Scuffietti, ospitata all’interno della sala principale del ricco e curato Museo
del Manifesto Cinematografico-Fermo Immagine in via Gluck 45 a Milano.
La mostra si prefigge lo scopo di raccontare un’affinità
elettiva tra arte del tatuaggio e sue influenze nel mondo cinematografico. L’occasione
è anche quella di osservare l’opera di un gruppo di giovani e affermati
tatuatori operanti tra Milano e Pavia: Pry, Gallo, Ivan Fungus, Geno, Theo,
Stizzo, Claudia Ferrarini, Roberto Borsi (in arte Horibudo Primo, maestro tatuatore
italiano secondo la tecnica tradizionale giapponese Tebori), Marco Spugna e
Marco Marini (che non ha esposto tavole, ma si esibirà in body painting).
La mostra è composta da quattro isole, più un’esposizione di
tre manifesti cinematografici, disposte per lasciare un ampio spazio tra l’una
e l’altra, anche per dare modo al visitatore di ammirare la collezione permanente
delle locandine e dei manifesti cinematografici che abbracciano tutta la storia
del cinema mondiale.
Ogni isola di “TattooCineArt” è un totem corredato da
spiegazioni sulla storia e l’arte del tatuaggio, da alcuni disegni dei
tatuatori e da locandine di film significativi per l’utilizzo del tatuaggio.
Nella prima isola, dove s’inizia a raccontare la storia e la
filosofia della mostra, i film a cui si fa riferimento sono: “L’uomo illustrato”
(1969) di Jack Smight con Rod Stiger, tratto dai racconti dello scrittore
americano Ray Bradbury, dove i tatuaggi che coprono il corpo del protagonista
rappresentano il racconto di avvenimenti passati e futuri; “Tattoo” (2002) di
Robert Schwentke, un thriller di produzione tedesca, il cui interesse è la
descrizione della tecnica Tebori compiuta da un famoso maestro giapponese e che
un collezionista è disposto a tutto pur di ottenere i lembi di pelle tatuati.
Un lato del totem è dedicato a tre film giapponesi inediti, dove il tatuaggio è
rappresentato nella sua forma originale per abbellire il corpo delle geishe (“Tattooed”
di Hideo Sekikawa; “Hirezumi” di Yasuzo Masumura) e dall’altro invece una versione
horror, dove prendono vita succhiando l’anima della donna (“Hirezumi, lo
spirito del tatuaggio” di Yoichi Takabayashi). Nell’ultimo lato del totem vediamo
“Red Dragon” (2002) di Brett Ratner con il serial killer psicopatico, tratto
dal romanzo di Thomas Harris, che si identifica con il dragone rosso tatuato
sulla schiena e vuole trasformarsi in esso. Ultimo film inserito per una
curiosità, è il capolavoro di John Carpenter “1997 – Fuga da New York”: se nella
pellicola il serpente è tatuato sul ventre di Plissken (Kurt Russell), al
contrario nella locandina è sul suo braccio e così appare in tutte, non
avendole cambiate neppure dopo l’uscita del film.
Nella seconda isola si possono ammirare molti disegni di Oni,
che nel folklore giapponese rappresentano delle creature demoniache simili agli
orchi della tradizione occidentale. Nella cultura giapponese però la loro
figura è ambigua, visto che le loro effigi sono usate anche per tenere lontano
il male. Sono raffigurate molte varianti di queste creature a opera di Roberto
Borsi (alias Horibudo Primo) e di Gallo. Il collegamento con il cinema lo si ha
con “Star Wars: episodio I – La minaccia fantasma” (1999) di George Lucas, dove
Darth Maul, il cavaliere Sith del lato oscuro della Forza, ha il volto
completamente tatuato e assomiglia a un Oni.
Nella terza isola, invece, abbiamo la descrizione di come si
realizza un tatuaggio di grandi dimensioni che copre una parte importante del
corpo (l’intera schiena) e che raffigura una fenice, dove sono resi visibili i
vari passaggi: dalla scelta del soggetto, al disegno preparatore, al disegno
sul corpo, alla sua colorazione, alla rifinitura dei dettagli, all’ultima
aggiunta degli occhi che rappresentano l’anima del tatuato. Si possono osservare
i disegni di vari tatuatori sullo stesso soggetto con differenti stili e la
comparazione tra Old School e New School, dove nel primo prevalgono i
colori rosso, nero e bianco, con poche linee essenziali e semplici, mentre
nella seconda scuola c’è una maggiore ricchezza del disegno e delle linee e una
saturazione dei colori. Il legame con il cinema lo abbiamo con il film “Uomini
che odiano le donne”, il cui titolo originale “The Girl with the Dragon Tattoo”
nel remake di David Fincher è riferito al tatuaggio che ha la protagonista
Lisbeth Salander.
Nella quarta isola si continua con il soggetto femminile che
nelle locandine classiche dei film dovevano attrarre il pubblico maschile al
cinema. Ma qui abbiamo il poster di “Hunger Games” (2012), dove è raffigurata
la forte figura dell’eroina Katniss Everdeen con un tatuaggio tribale che le
copre l’intero avambraccio. Nel film, Jennifer Lawrence doveva sottoporsi al
disegno del tatuaggio, mentre l’attore protagonista, al contrario, era
costretto a coprire i suoi veri tatuaggi visto che il personaggio non li aveva.
Di nuovo c’è un utilizzo del tatuaggio come strumento profilmico. Abbiamo anche
la locandina di “Southpaw” (2015), con tatuaggi che rappresentano episodi della
vita del protagonista. Sul totem poi ci sono i disegni di volti di donne creati
dai tatuatori.
L’ultima parte della mostra è composta da tre manifesti di
film: “Educazione Siberiana” (2013) di Gabriele Salvatores; “Wanted” (2008) di Timur
Bekmambetov; “Alabama Monroe” (2014) di Felix Van Groeningen. Se il primo raffigura la
storia di un tatuatore, descrivendo disegni e simboli slavi, tra l'altro, molto
criticati dalla stampa russa come frutto di fantasie non vere; nel secondo la
protagonista, interpretata da Angelina Jolie, sfoggia nei panni del personaggio molti tatuaggi autentici, rappresentativi di momenti e ricordi della propria vita.
Anche in “Alabama Monroe” la protagonista è una tatuatrice che utilizza il corpo
come una tela per illustrare la sua vita e come la Jolie (nella realtà) ricopre
i vecchi tatuaggi con i nuovi, assecondando i passaggi nodali della storia
personale.
Mostra originale, in un gioiello di museo, che merita davvero
una visita da parte dei milanesi e anche dai turisti che vengono a Milano, cui
possono dedicare un’ora del loro tempo per gustarsi un’oasi di bellezza e arte.
TattooCineArt mostra
dal 12 al 25 marzo 2016 dalle 15 alle 19
(chiuso il lunedì), Museo del Manifesto Cinematografico – Fermo Immagine, via
Gluck 45 Milano. Biglietti: 5€ intero – 3€ ridotto www.museofermoimmagine.it info: museofermoimmagine@gmail.com
Antonio Pettierre
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