Festina lente

Creato il 18 dicembre 2009 da Ronin

Affrettati piano.

E’ una frase attribuita all’imperatore Augusto, ma diventò famosa grazie ad un altro eccezionale personaggio, forse meno conosciuto al grande pubblico, di nome Aldo Manuzio.

Più di cinquecento anni fa Gutenberg sviluppò un metodo rivoluzionario di produrre libri, fondendo tecnologie fra le più svariate in una tecnica che aprì al mondo le porte del sapere.

Ma fu un uomo di lettere come Manuzio che pochi decenni dopo fece evolvere la stampa da mera ingegneristica a vero e proprio sistema di produzione culturale, studiando le rilegature, i caratteri, la punteggiatura, i formati, ma soprattutto i contenuti dei volumi, con l’obiettivo primario di diffondere la cultura classica prima ancora che guadagnare.

Ed è bello e curioso che il simbolo con cui “firmava” i suoi volumi fosse la frase “festina lente” sovrastata da un’ancora a cui era avvolto un delfino. La solidità, la concretezza e la fermezza contro la velocità, l’agilità e il movimento.

Mi piace che il simbolo di uomo capace di innovare e sviluppare così a fondo la scienza umana, impresso su volumi che ancora oggi simboleggiano una delle più grandi rivoluzioni nel modo di comunicare e apprendere dell’umanità, sia un tale contrasto di concetti.

Manuzio, e suoi contemporanei, avevano capito una cosa che noi abbiamo da tempo dimenticato, e cioè che le sfide che il mondo ci pone davanti vanno certo affrontate con creatività, flessibilità, adattamento. Ma occorre anche pazienza, gradualità, visione.

Bisogna saper accelerare e rallentare, eseguendo i grandi compiti con una serie di piccoli atti.

Non credo sia un caso che questa storia mi giri per la testa in periodo natalizio, quando la frenesia della vita moderna si manifesta in tutta la sua esplosività.

I regali da pensare, comprare, impacchettare, le cene da organizzare, apparecchiare, cucinare, i parenti da vedere, le case da addobbare.

Se tutto questo fosse vissuto nel clima che gli è consono non avrei niente da dire, ma lo si vede nelle strade, nelle case, negli sguardi che non è così.

La Natività del Cristo è avvenuta di notte in una mangiatoia, ovattata dallo spessore del fieno, con solo i vagiti a spezzarne la quiete.

Perché ora è tutto così caotico e rumoroso? Perché i piedi e la bocca non possono mai prendersi una pausa, neanche quando gli si danno le occasioni per farlo??

Il Natale è solo un momento in cui tutto il nostro stile di vita è portato all’estremo, ma il concetto non cambia qualunque periodo dell’anno si guardi.

Viviamo continuamente iperstimolati, stressati all’idea di poter e dover fare tutto, ogni cosa possibile.

Ci hanno insegnato che il tempo è denaro, e che tutto quello che non viene impiegato proficuamente è un immondo spreco, agli occhi di Dio e dell’Uomo.

Che senza un agenda fitta di impegni, di orari incastrati, cose da fare, gente da vedere, siamo dei pigri, che si lasciano scivolare la vita addosso.

Che senza uscire tutte le sere e parlare ogni giorno con cento persone diverse siamo degli antisociali incapaci di relazionarsi al prossimo.

Ma come si misura il tempo?

Non in minuti, ore o giorni, certamente, altrimenti perché lavagne ed equazioni lo renderebbero così lento mentre baci e carezze così rapido?

Lo scorrere della nostra vita non è dato da una serie di momenti discreti che si sommano l’uno sull’altro, incamerando esperienze, gente, cose dentro di sé.

E’ un flusso morbido, che a volte si gonfia e a volte rallenta, e quello che incontra lo amalgama.

Basterebbe diminuire le parole che escono dalla bocca, per prestare più attenzione a quelle che parlano dentro di noi.

Se solo rallentassimo un po’ il ritmo ci renderemmo conto che le cose possono essere più semplici di come ci appaiono.

Che si può fare di meno, ma meglio.

Puntare sulla qualità delle giornate e non sull’accumulo di sensazioni.

Che scegliere non vuol dire solo limitarsi, ma anche avere più consapevolezza.

Che si può parlare meno e ascoltare di più. Così da capire di più.

Che si possono fare meno viaggi, ma assaporandoli nel profondo.

E che è meglio dormire di più, ma mangiare poco e bene.

Capiremmo che stare a guardare il cielo non è una perdita di tempo, ma un modo per avvicinarci all’Universo.

Come in quel capolavoro di Fellini, in cui Benigni scruta sempre dentro ai pozzi per cercare di parlare con la luna, e nel finale sospira: “ Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire…”


Pensate se per un minuto, un minuto soltanto, il volume del mondo potesse spegnersi.

Solo per un minuto, non chiedo tanto.

Che quiete meravigliosa ci potrebbe essere, senza televisori, senza auto, senza ronzii elettronici, senza urli, parole, passi..

Forse chissà, potremmo anche sentire il fiato del Mondo, che inspira ed espira le nostre vite..


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