La scorsa settimana, da Giovedì 5 a Domenica Novembre, si è tenuto a Pescara il Festival delle Letterature dell’Adriatico. Ho consultato il calendario, e sono riuscita ad andare Domenica. A proposito di ciò, mi dispiace di non essere riuscita a scrivere un articolo prima, per presentarvi l’evento nel caso non lo conosceste, ma non ho avuto molto tempo. Comunque è stato organizzato davvero bene, con tante belle opportunità: tra quelle che ho perso c’erano anche Corrado Augias, Walter Veltroni, Saturnino, Luca Bianchini, Stefano Benni, Antonio Dikele Di Stefano… e tanti tanti altri. Qui trovate il sito ufficiale, con tutte le notizie, foto, video e programma completo.
Per quello che mi riguarda ho partecipato a due incontri: il primo era un’intervista/conversazione con Michele Serra, Ottavio di Brizzi e Paolo Repetti su L’aria che tira nei libri (e nell’editoria in generale), incontro moderato da Luca Sofri molto molto interessante. E poi, un’ora dopo, la presentazione di Enrica Tesio del suo libro La verità, vi spiego, sull’amore, che ho letto e recensito (qui) due settimane fa, senza sapere che sarebbe venuta a Pescara, quindi sono stata protagonista di una gradita coincidenza: è stato fantastico incontrarla!
(Le foto che trovate le ho per la maggior parte prese da questo profilo twitter, perché le mie, da ultima fila erano oscene)
Ho deciso di raccontarvi tutto in due articoli perché credo ne valga la pena, quindi non vi anticipo troppo <3"><3"><3
Festival delle letterature dell’Adriatico #1: L’aria che tira nei libri
(moderatore: Luca Sofri; con Michele Serra, Ottavio Di Brizzi e Paolo Repetti)
Domenica 8 Novembre, ore 11.00, Auditorium Petruzzi, Pescara. Mi trovo ad assistere e ad ascoltare, insieme ad altre (forse ottanta?) persone, quella che si prospetta come un’interessante conversazione. (Aggiungo che è stato bello vedere così tante persone, ma è stato triste non vedere nessun volto giovane.)
Michele Serra, scrittore, Ottavio Di Brizzi, responsabile saggistica della casa editrice Rizzoli, e Paolo Repetti, direttore della collana Stile Libero di Einaudi, si apprestano a salire sul palco, accanto ad un simpaticissimo Luca Sofri, giornalista, ma anche blogger.
Dopo qualche battuta, nata dal problema logistico di due poltroncine e tre persone, riguardo anche alla q
Dal mio posto in ultima fila, ho cominciato a prendere appunti, come una studentessa, perché ho pensato che sentir parlare chi ci vive, grazie a queste scatole con gli angoli, di un argomento che poi tutti noi amiamo, era una bella occasione, no?
Bene, il primo a cercare di descrivere quest”aria che tira è stato Paolo Repetti, che tirando le somme si è concentrato di più su ciò che, nel mondo dei libri, rimane uguale. Ha cominciato parlando del libro, come la più grande invenzione tecnologica mai stata fatta nel mondo della cultura. E non solo, perché secondo Eco è la più grande invenzione insieme a ruota e cucchiaio. Che cos’è a dargli quest’impronta tecnologica? Proprio la sua forma, riduttiva, di scatola con gli angoli. L’esempio più lampante è stato quello del modo in cui i tablet vengono pubblicizzati: si parla tanto di come potrebbero sostituire i libri cartacei, ma poi “Sono così straordinari, da assomigliare quasi ad un libro vero”. Contraddittorio, no? Come se le prime
Certo, ci sono poi tutte quelle cose in più che gli ebook reader hanno portato, o tentato di portare: la possibilità di comunicare direttamente con l’autore, di far leggere le proprie note, la possibilità di ascoltare la sua voce che legge, o di guardare le mappe dei luoghi in cui si ambientano le vicende. Interessante,ma davvero superfluo: interrompereste mai la lettura per fare una di queste cose? Tant’è che esse hanno avuto successo solo nella narrativa per bambini, perché puntano al gioco (prendete per esempio gli audio-libri). Che cosa non è cambiato quindi? Il rapporto che i lettori hanno con la lettura, e quello degli scrittori con la scrittura, che scrivono così come scrivevano venti anni fa, o prima dell’ultima ondata di digitalizzazione. È lo stesso il modo di intendere il romanzo, perché non è fattibile il modello di passaggio da CD a palylist, come è accaduto per la musica. Non è cambiato il modo di classificare i libri in classifiche di popolarità e gradimento, organizzate esattamente come prime. Non sono state quindi assolutamente modificate, secondo Repetti, le strutture antropologiche che sono state sempre usate. È ovvio che non si può prevedere con certezza cosa accadrà dopo, che probabilmente siamo solo all’inizio, ma è anche vero che non bisogna credere che le cose siano così tanto diverse dal passato. Ci si preoccupa dell’omologazione del mercato dei libri, ma le stagioni di popolarità sono sempre esistite. È stata ri
Un qualcosa che secondo Repetti dovrebbe cambiare nel futuro, è il modo di concepire la produzione del libro, almeno per l’aspetto che rientra in un’ottica strettamente economica: ha infatti parlato del modo in cui ogni editore deve stillare una stima di guadagno per l’anno successivo, che non può mai essere inferiore a quella dell’anno precedente. Ma è molto probabile che quest’anno ci sia stato un libro da migliaia di copie che l’anno prossimo non ci sarà. Allo stesso modo è troppo meccanico il modo in cui, ogni tre mesi si deve pianificare il proprio lavoro e quello degli scrittori, che devono portare a compimento un processo creativo, anche personale.
È intervenuto poi Ottavio Di Brizzi, che ha parlato del ruolo dell’editore, e ha presentato alcune cifre, partendo dalla fetta di mercato occupata in Italia dagli ebook, che è solo il 3 %.
Intendendo il libro come un’opera di un pittore, l’editore è il corniciaio. Si occupa di costruire una cornice (non un qualcosa che andrà a coprire, come l’abito che non fa il monaco, ma a completare, a esporre ancora di più), fatta di parole, di espressioni, di espedienti. Lo colloca in un genere, in un gruppo di lettori. Un esempio: Hunger Games, uscito in tre diverse edizioni, con tre diverse copertine, per tre diversi ambiti di pubblico. Una è con in copertina Katniss, con una frase/recensione della Rowling; una ha Peeta in copertina, e una frase di Stephen King; e la terza è quella con il simbolo della ghiandaia. lo stesso libro viene posto in tre ambiti diversi, tre posti diversi della libreria.
Non si può dire che non
L’intervento di Serra è stato il più significativo, e se me lo concedete, ho sentito la differenza del suo ruolo di scrittore, pur, purtroppo, non avendo letto niente di suo. Con aneddoti e passione, ha raccontato la sua esperienza.
Ha smentito il fatto che gli scrittori non abbiano beneficiato della digitalizzazione: basti pensare al passaggio da macchina per scrivere (sì, ha detto che si dice così), a computer. Basti pensare al fatto che nessuno viene più sommerso da cartacce appallottolate. “Si dipinge meglio con questi pennelli”, ha detto. Per quanto riguarda il futuro del libro, forse siamo un po’ pessimisti. Cinquanta anni fa, Michele Serra, ricorda l’estate a casa del nonno in Liguria, quando le alternative erano giocare a Flipper, guardare lo schermo vuoto della televisione, che cominciava la sua programmazione solo alle 17.00 (prima non c’era nulla), leggere un fumetto, che però era sintomatico di non voler far nulla nella vita, oppure leggere un libro. Le alternative erano poche, e per il libro era facile uscirne vincitore. Eppure, oggi, cinquanta anni dopo, il libro riesce ancora a ritagliarsi il suo spazio, in un me
Ciò che lo preoccupa è, invece, il futuro della cultura, o meglio, del suo valore simbolico. È inutile dare la colpa all’era berlusconiana, alla tv moderna, perché sono solo concretizzazioni di un processo più ampio, di una cultura che ci sottomette, che si occupa di noi, se non ci occupiamo di lei. Cosa vuol dire valore simbolico della cultura? Avete presente quando fino ai primi anni del ‘900 le famiglie non mandavano i loro figli a scuola perché dovevano lavorare? Ecco, la cultura aveva per loro un basso valore simbolico, era inutile rispetto al guadagno che contava. Forse non sapevate che negli anni ’90 (sì, del 1900), i sociologi hanno rilevato una tendenza, piccola ma non impercettibile, allo stesso comportamento: moli ragazzi abbandonarono la scuola in virtù di cose più importanti, come un lavoro. La cultura è ancora una volta inutile a questo fine. Oggi il concetto è ancora lo stesso: nell’immaginario collettivo, andare al cinema, a teatro, leggere, è di scarsa importanza. Non se ne riconosce il ruolo nella costruzione e formazione della persona. Tutto è finalizzato al guadagno vero e proprio. Un’avidità ignorante. Un altro aneddoto? Pensate che qualche decennio fa, in un
A questo punto, forse non dovrei dirlo, ma sono andata via, perché rischiavo di perdere l’incontro con la Tesio, al quale tenevo davvero molto. Non credo di aver perso molto; in ogni caso ho guadagnato molto di più.
Mi farebbe piacere leggere cosa ne pensate. Gli spunti per riflettere sono molti!
Vi aggiornerò poi con l’articolo sulla presentazione di Enrica Tesio <3"><3"><3