FESTIVAL DI CANNES 2011: “Arirang” di Kim Ki-duk (Un Certain Regard)

Creato il 14 maggio 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Non cessa la sfilata dei pesi massimi sulla croisette del festival di Cannes. Stavolta è il turno del mostro sacro del cinema coreano, Kim Ki-duk, che, dopo qualche anno di assenza, torna con un documentario toccante, intimo, struggente. Si, perché il protagonista è proprio lui. Scopriamo, con notevole stupore, che dal 2008, anno in cui realizzò il suo ultimo film, il regista de L’isola, Bad guy, Ferro 3, vive isolato in un paesino montano, situato in una località non meglio precisata della Corea, recluso, quasi fosse un monaco. Abita in un rifugio (la camera da letto è una tenda da trekking), dove trascorre la maggior parte del tempo consumando (non possiede piatti, posate o bicchieri) pasti frugali, bevendo senza sosta alcolici vari, completamente isolato dagli altri esseri umani, assumendo sempre più un comportamento animale.

La sua è letteralmente una video-confessione in cui, parlando con se stesso, sciorina tutte le angosce che lo hanno attanagliato negli ultimi anni: lo shock provocato dall’incidente accaduto sul set del suo ultimo film ad un’attrice, che per poco non ne ha provocato la morte; la difficoltà di riuscire a riorganizzare le condizioni per girare un altro lungometraggio, di cui pare abbia già steso la sceneggiatura, oltre ad aver contattato il possibile attore protagonista, William Defoe.

Kim Ki-duk piange, si dispera, mostrandosi senza veli, rasentando l’osceno e creando davvero un grande imbarazzo nello spettatore. Vederlo disperarsi, avendolo applaudito qualche minuto prima (ha introdotto il documentario-confessione definendolo un auto ritratto), crea una situazione surreale: durante la visione, lo scrivente volgeva spesso lo sguardo verso il resto dell’immensa sala che ha accolto la proiezione, per captare gli umori e le sensazioni degli intervenuti. Si avvertiva una specie di incredulità, come se la fastosa parata dello spettacolo si fosse improvvisamente interrotta, mostrando il lato oscuro della luna (qualche lacaniano dell’ultima ora direbbe di aver assistito all’emersione del “reale traumatico”). Insomma proprio a Cannes, dove la liturgia della celebrità viene officiata con tenace devozione, Kim Ki-duk arriva come un ciclone, sfregiando la tela contenuta nella cornice regale del tempio del  cinema.

Arirang è il titolo di una canzone molto nota in Corea, assai melanconica, una di quelle melodie che s’intonano quando si attraversano periodi di grande tristezza. E Kim Ki-duk, durante il film, la canta più volte a squarciagola, fino a rompere la voce in un pianto che fa tremare la sala Debussy, gremita da oltre 1600 persone.

A fine proiezione cinque minuti di applausi hanno congedato il regista, quasi a volerlo incoraggiare a non mollare, a continuare a regalarci quei meravigliosi film che solo lui sa fare. Anche chi scrive si è spellato le mani, nonostante le poche ore di sonno e la fila oceanica intrapresa per accedere alla proiezione.

Luca Biscontini


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