10 luglio 2013 di Augusto Benemeglio
- Eroi di Terlizzi
Ci sono traiettorie misteriose, che non t’aspetti. Come quelle della memoria di un paese, di una città del sud, della Puglia (tu, anima salentina), che credevi aver dimenticato, e invece te lo ritrovi sul ciglio del sentiero del risveglio della tua coscienza, che si restringe, che si fa precipizio, per il salto nel tempo, che sta aggrappata ai suoi indimenticati eroi, tra un orizzonte liquido di sconosciuta oscurità e l’instabile evidenza dell’ombra nera della passività, della neghittosità, della crisi ormai imperante che passa a qualsiasi latitudine.
“Perché non vieni a Terlizzi, per la seconda edizione del festival della Legalità?”, mi fa Pasquale Vitagliano, presidente del Movimento Civico che organizza l’evento della seconda edizione del Festival per la Legalità, che ha come simbolo il Gallo di “E’ fatto giorno” di Scotellaro. E io rimango perplesso. Credevo Pasquale e fosse un leccese, con le sue ariosità, sonorità, ma anche anfrattuosità e complessità liriche-barocche! Terlizzi, mi dici? Incredibile. Ma è il vento della storia delle Murge col “popolo di formiche” di Tommaso Fiore, e i “cafoni all’inferno”, è l’onda lunga della, ma amemoria che ritorna a me, lontanissima, quando la primavera rabbrividiva dentro le mie ossa ancora forti del candore degli anni, nel rosso di una passione senza screpolature. Ci sono stato, a Terlizzi, quasi cinquant’anni fa!
Ed ora ecco che l’antica “Turricium”, la città delle torri di fuoco e dei martiri delle Ardeatine, – dove ogni anno vado a pregare sulle loro tombe, – mi richiama da quelle lontanissime sponde dell’eco, voci che tornano come un ventaglio di memorie, e si fissano in un eroe emblema di ogni antiretorica come don Pietro Pappagallo, un prete che – in piena occupazione tedesca- si consumò a pelle a palle, energia di energia, sostanza di sostanza (e non erano solo le ostie consacrate, quelle che lo nutrivano di fede e speranza, ma tutto quello che toccava, comprese le casseruole bucate, i pezzi si corda, i ritagli di carta, diveniva vitale, essenziale per la lotta clandestina; aveva una mina tra le mani che poteva scoppiare in qualsiasi momento, ogni suo atto era controllato e lo portava inevitabilmente alla croce delle fosse, del martirio, e lo sapeva benissimo); lo stesso don Morosini, interpretato da Aldo Fabrizi in “Roma città aperta”, è sempre lui, il prete che dilaga ovunque con la sua attività resistenziale, che non è solo coraggio, che non è solo pietà, è credere continuamente un sogno di mare, un sogno di giustizia di libertà, è viaggiare in direzione ostinata e contraria, anche quando tutto sembra ineluttabile, chiuso, segnato, finito. Amen.
E invece no, e dopo di lui (insieme a lui) ecco un altro eroe di Terlizzi, un giovane professore uno che viene da quei paesi del sud da visioni di anime contadine che sono in volo nel mondo, a qualsiasi latitudine, e hanno sempre un sacco di ideali in tasca, uno da giornate furibonde senza atti e giorni d’amore, ma solo passaggi e attese, passaggi e attese di tempo, spiate e fallimenti dietro l’angolo, uno che non si può permettere di piangere, uno che mastica e sputa sangue, uno che viene torturato, ma non parlerà (anche lui appare nel film “Roma città aperta” di Rossellini). I nazisti avranno solo il suo cadavere martoriato. Parliamo del professor Gioacchino Gesmundo, che insegnava storia e filosofia presso il Liceo Cavour di Roma. Trucidato, come don Pietro,(dichiarato martire della Chiesa da Papa Giovanni Paolo II).
Li vado a trovare ogni anno alle Fosse Ardeatine dove giacciono dal 24 marzo 1944. Ma c’è anche una donna, un’altra eroina terlizzese “martire” della Libertà, Rosa Vendola, una maestra d’asilo che nel 1933 si era trasferita a Castel Dobra, oggi cittadina slovena chiamata “Brda”, per insegnare in un asilo di Trebce-Trebignano. E nel 1945, A 37 anni, è andata a finire nelle “Foibe”, le profonde cavità carsiche dove i soldati di Tito gettavano non solo i corpi degli italiani uccisi ma anche dei nostri connazionali ancora in vita.
- Impegno sociale
Ne parlo con l’amico Vincenzo D’Addario, uno dei tanti pugliesi che vivono a Roma e hanno formato un’Associazione in via Aldrovandi. Il Festival della Legalità – dice – potrebbe e dovrebbe essere dunque una sorta di monumento perpetuo alla memoria di questi eroi umili, un momento, un’occasione per rinnova re lo spirito di una Comunità di gente, popolo di formiche, non solo destinate alle fatiche più immani per la durezza delle terra, ma quasi vocata ad essere non solo modello, ma monito e sacrificio dei valori e dei diritti umani. Ma i tempi cambiano e le cose si ammalano di noia, d’incuria, d’indifferenza, si guastano, deperiscono, diventano marce, e gli atti di eroismo – diciamolo – si traducono in quotidiane viltà. Credo che l’impegno sociale dipenda dal modo in cui si è stati educati. I miei mi hanno educato in maniera che io dovessi sentirmi sempre socialmente utile per contare qualcosa, e non per demagogia o vanità, ma per una mia esigenza civica, privata. Ed è per questo che in tutto quello che faccio mi sembra che l’impegno sociale ci sia sempre.
- Il vizio della memoria
Ma per me, quando si parla di Terlizzi, ripeto, gli incroci incredibili di memoria non finiscono mai, ed ecco uno squarcio di luce improvvisa sul buio totale Per un attimo devo tornare con la mente a Venezia 1964, in Piazza San Marco, quando al tramonto di giugno, con quei cieli dalla fronte rosa cominciavano le primi incredibili danze di figure sull’acqua, mentre si si esibiva – allora gratuitamente - la Banda Comunale di Venezia, ed io, appena imbarcato su Nave Etna (una nave appoggio con i mezzi da sbarco, che aveva sbarcato i marines in Normandia al fuoco incrociato delle postazioni tedesche del “Soldato Ryan, e che gli americani ci aveva regalato per far esercitare i nostri del Battaglione Sa Marco). Ero al concerto col mio “ Capo”, il Maresciallo Angelo Amendolagine, uno dei più accaniti (e competenti) appassionati di musica lirica che abbia conosciuto, ed ecco che quasi cinquant’anni dopo lo ritrovo, ormai ottantaquattrenne, proprio a Terlizzi, lui, appassionato di musica (“Se ciascuno sapesse suonare bene il proprio strumento, avremmo un’orchestra perfetta”), ex militare onesto e leale insieme agli eroi borghesi col vizio della memoria.
Questo è il tema principale, che vede eccezionale e drammatico protagonista della prima serata (il 15 luglio) Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio Ambrosoli, liquidatore della banca di Michele Sindona, che venne assassinato nel 1979 per aver scoperto gli intrecci tra finanza e criminalità organizzata. Umberto parlerà del suo libro Qualunque cosa succeda, vincitore del premio Tiziano Terzani, premio Capalbio, e parlerà con franchezza (viene il momento in cui svanisce la frontiera tra materia e idea e bisogna agire, essere concreti, su fondamenta certe, visibili, incarnati nell’azione), e della sua personale esperienza civica e politica, dei suoi incontri e scontri sulle grande platee dove si fanno i giochi. Ed ecco che la grande storia italiana viene idealmente collegata alla storia cittadina, a vent’anni dall’autobomba che esplose nel 1993 davanti all’ingresso del Municipio di Terlizzi, con la viva testimonianza del maresciallo Gioacchino De Sario, il vigile rimasto gravemente ferito nell’attentato. Saranno ospiti anche il giornalista Flavio Tranquillo, autore de I dieci passi, breviario della legalità, e la professoressa Assunta de Leo, che parleranno di pratiche di legalità. La serata sarà introdotta da Pasquale Vitagliano e presentata da Filippo Adessi e Emanuela Fumarola.
- Crocifissi con forchette
Non possiamo più continuare ad essere dei poveri cristi incatenati che vengono crocifissi con le forchette da quelli che vengono qui a far il week-end elettorale, Vendola compreso, che è di questo paese. Ci dobbiamo schiodare da soli dalla croce, – mi dice D’Aquila. Sono tempi duri per tutti, soprattutto per i giovani, che devono cominciare a coltivare il culto del sacrificio come i loro grandi concittadini, don Pietro, Gesmundo, Rosa Vendola, bisogna cominciare un nuovo ciclo dell’agire quotidiano, che potrebbe essere proprio quello dell’”eroismo” per la legalità, anche se i problemi credo non siano affatto semplici, anzi innumerevoli e complicatissimi.
Ed ecco “Lavoro-Ambiente-Giustizia”. Sembrerebbe la quadratura del cerchio, ma è molto difficile conciliare tre valori importanti che oggi si trovano spesso in conflitto, come dimostra il dramma dell’Ilva di Taranto, ma anche la vicenda ambientale di Terlizzi. Su questi dilemmi nella seconda serata il 19 luglio dialogano esperti come Pasquale Drago, procuratore aggiunto della Repubblica di Bari e Francesco Messina, giudice del Tribunale di Trani, Luca Martinelli, giornalista di Altraeconomia, e Antonio Pepe, segretario provinciale della FIOM CGIL, in una serata curata dal Comitato Beni Comuni di Terlizzi e presentata da Lydia Balest.
E siamo al 20 luglio, l’ultima sera. “Potrà questa bellezza salvare il mondo?”, con un taglio più culturale, ecco i temi etici collegati all’estetica citando Dostoevskij. Non esiste impegno civile e letteratura che non sia legata al proprio territorio di vita.E in quest’ottica, Antonella Paparella, presidente di A.C. della Diocesi di Molfetta, narrerà un ricordo personale di don Tonino a vent’anni dalla scomparsa. Seguirà la presentazione del libro “Yehoshua”, l’ultimo romanzo di Fabrizio Centofanti, uno sconvolgente ritorno di Gesù sulla terra, ai tempi nostri, con risvolti anche di natura da giallo sacro…E, infine, il mio breve oratorio “E’ fatto giorno” di Rocco Scotellaro, a cui parteciperà come voce recitante Piero Girardi. Il tutto si concluderà con il concerto del gruppo Les Clochards. Ensamble, presso il magnifico Chiostro delle Clarisse di Terlizzi.
Io credo che per noi tutti sarà un grande onore e un’autentica gioia “esserci” Grazie, Paquale, grazie Terlizzi.
Roma, 10 luglio 2013 Augusto Benemeglio
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