Il cinema italiano continua a farsi strada in questa sesta edizione del festival di Roma con Il paese delle spose infelici di Pippo Mezzapesa, un film di formazione ispirato all’omonimo libro di Mario Desiati edito da Mondadori e vincitore del Premio Mondello nel 2009.
La storia si apre con una prova di carattere, un’iniziazione al branco in perfetto stile: il nuovo arrivato in città resiste agli insulti e alla prova fisica inferti da un gruppo di ragazzi di strada. Il suo temperamento coraggioso conquista Zazà (Luca Schipani, calciatore delle giovanili del Taranto e attore per la prima volta), il capobranco, che lo ribattezza Veleno (Nicolas Orzella), uno di loro. Insieme giocano a pallone nel campo di fango del Cosmica Football Club, insieme imparano a crescere, insieme scoprono i sentimenti.
Mezzapesa, regista giovanissimo di Bitonto, si confronta per la prima volta con il lungometraggio di fiction, dopo aver ricevuto riconoscimenti internazionali per i suoi cortometraggi (L’altra metà, Come a Cassano, Zinanà) e i documentari (Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate, Rumori di fondo, Produrre consumare morire).
Il paese delle spose infelici è una rappresentazione appassionata dell’adolescenza difficile ambientata nella periferia del sud. I protagonisti Zazà e Veleno vivono la delicata fase dell’adolescenza, fatta di crisi e cambiamenti, di scoperte e delusioni, di fratellanza e separazioni. Il fangoso campetto degli allenamenti è un luogo carico di aspettative ed evasioni: per Veleno è il posto dove liberarsi dal controllo famigliare, per Zazà, talento naturale col pallone, è l’unica via di salvezza dalla miseria. Il calcio, quello vero, palestra di vita lontana dalle attuali logiche di mercato, suggella l’amicizia solida e sincera tra i due ragazzi, superando le distanze sociali. Alla coppia si aggiunge la bella Annalisa (Aylin Prandi), una vita interrotta da cui sono genuinamente e maldestramente attratti. La sposa sopravvissuta al volo dal tetto della chiesa irrompe nelle loro vite, crea complicità, porta scompiglio, rinsalda legami, attiva sentimenti che sconfinano dall’amicizia, diventa la musa delle loro buone azioni. Quarto protagonista è l’ambiente che accoglie la storia, Massafra (e non Martinafranca, come nel libro), in provincia di Taranto, «territorio avvelenato, dalla bellezza arcaica ma ferita, morfologicamente dalle gravine e industrialmente dal polo siderurgico» dice Mezzapesa. Gli «amorfi» anni ’90, fatti di programmi televisivi vuoti e irruenti, politicanti locali dall’invettiva facile, la diffusione dilagante della droga, conferiscono all’intimità narrativa una drammaticità temporale influente. Tra calcio, violenze e perdite, i tre adolescenti percorrono coraggiosamente le loro strade, compiono il cammino di crescita atteso, superano i limiti dettati dalla condizione in cui si erano impigliati.
Il documentarista pugliese mette la sua spiccata vocazione autoriale a servizio di una storia dal richiamo semplice che lascia intravedere la potenzialità di uno sguardo vivace e rinnovatore ma che si limita, in alcuni momenti, a scelte visive poco vigorose.
Francesca Vantaggiato