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Festival di Roma: incontro con Takashi Miike (Maverick Director Award)

Creato il 20 ottobre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

All’indomani della proiezione in anteprima mondiale del suo ultimo film, As The Gods Will, l’instancabile e prolifico cineasta giapponese  Takashi Miike incontra il pubblico della nona edizione del Festival di Roma, in un’assolata domenica mattina tardo estiva e già affollata di ragazzine in attesa del passaggio pomeridiano sul Red Carpet dell’attore Sam Claflin (Love,Rosie)

 Indiscusso maestro del cinema contemporaneo, autore che ha scavalcato le barriere della distribuzione ufficiale, con un centinaio di film al suo attivo, Takashi Miike appare visibilmente emozionato e contento di parlare al suo pubblico e si dice sorpreso, visto che di domenica mattina agli italiani piace dormire!

Manlio Gomarasca, del Comitato di selezione del festival, parte dall’aggettivo che più rappresenta Miike, “giocoso”; i suoi film nascono dalla rielaborazione di forme e generi  tradizionali di intrattenimento, come i videogames e gli archetipi appartenenti alla cultura giapponese come i Manga, per poi manipolarli con un impeto ed un impatto tali da creare un flusso continuo di opere sempre moderne e aperto a nuove possibili rielaborazioni. As The Gods Will segna il ritorno di Miike all’horror giocoso, a differenza delle opere precedenti, più viscerali.

Miike si definisce un cineasta, il suo impegno è quello di dare il massimo nel suo lavoro, la categorizzazione di horror, e poi quella di horror più o meno giocoso arriva in un secondo momento: quello che ha voluto fare con il suo ultimo film è stato riprendere gli eroi della precedente generazione e portarli sul grande schermo, affinché un pubblico sempre maggiore potesse conoscerli.

Il pubblico ha applaudito calorosamente l’anteprima mondiale di As The Gods Will a Roma; nell’attesa di vedere quali saranno le reazioni del pubblico giapponese all’ultima opera di Miike, il dibattito prosegue chiedendo al regista qual è il suo rapporto con il cinema di casa sua; Miike è cresciuto con i film sui samurai, che l’hanno sempre entusiasmato e lo portano ancora oggi a sviluppare uno studio accurato per ricostruire in dettaglio certe scene del passato.

La sua è una carriera iniziata non dalla “porta principale”, ma da video prodotti con budget molto limitati; oggi può permettersi un impatto produttivo decisamente maggiore; sulla questione dapprima gli viene chiesto quando le case di produzione si sono accorte di  Takashi Miike e poi si affronta il discorso sulla libertà creativa più o meno vincolata alle scelte di produttori e distributori. Divertito, il regista risponde che le case di produzione non si sono ancora accorte di lui, e sulla libertà di espressione sostiene che prima di tutto cerca di mantenere la leggerezza delle sue prime opere a basso costo; oggi è difficile rispettare la “compliance” imposta dalle aziende, ma nonostante ciò riesce ancora a ritagliarsi una libertà che aggiunge valore al suo lavoro.

E quel valore è dato anche da un’altra caratteristica di Takashi Miike , che affianca inventiva immaginazione e libertà ad una rigorosa disciplina, applicata sin dagli esordi e costantemente rispettata e perseguita in quanto esempio più alto di professionalità; disciplina e libertà, sebbene all’apparenza in contrasto tra loro, restano i capisaldi fondamentali del suo metodo di lavoro. Non importa quanti soldi si hanno a disposizione o quali restrizioni e vincoli vengano imposti dalla censura: se il punto di partenza è buono, il produttore è serio e attento, questo mette in moto la voglia e l’interesse di Miike, che risolverà a mano a mano che gli si presenteranno i problemi legati ai costi e alla censura. In alcuni casi un budget limitato è fonte di una maggiore libertà di espressione e di divertimento. Se viceversa si ha un budget importante, bisogna fare molto successo di botteghino e questo costringe ad una minore libertà perché, affinché si mantenga un intrattenimento di media che raggiunga un pubblico sempre più vasto.

Takashi Miike

In realtà, ed è questa la grande lezione di Takashi Miike , valida per tutti i mestieri,  siamo più legati a noi stessi e agli “stili” che ci creiamo, è per questo che ribadisce l’importanza di essere sempre attivi e confrontarsi con gli altri.

E, ancora sulla libertà di espressione, quanto le aspettative di un pubblico abituato ad un Miike sempre più eccessivo e visionario possono costituire una limitazione? Lui svicola il concetto di “limitazione” e dichiara che fare un film è un cammino, sempre e comunque; ogni nuovo film gli dà la possibilità di seguirlo per i Paesi e i pubblici ai quali è mostrato e questo cammino aggiunge esperienza e divertimento al suo lavoro.

Takashi Miike raccoglie consensi anche da altri maestri di cinema, come Quentin Tarantino e Guillelmo Del Toro; il suo rapporto con gli Stati Uniti resta piuttosto legnoso: “si dice che l’America sia il Paese delle libertà, e lo sanno tutti, vero?” ironizzando sulla censura vigente nella cinematografia statunitense. In effetti gli venne offerto di girare uno dei tredici episodi di Masters Of Horror, dopo essere stato avvisato che avrebbe potuto mostrare le zone intime (ma non le scene di penetrazione), il suo episodio fu eliminato, con tanto di scuse attraverso le pagine del New York Times. E a proposito di censura, in Giappone esiste una commissione (e scherza dicendo che è formata da membri che avrebbero voluto fare cinema ma non ci sono riusciti) e stabilisce l’età minima per la visione del film e si trova d’accordo con le scelte fatte dalla commissione,  come forma di rispetto verso i genitori.

L’America e il suo cinema restano comunque un punto di riferimento importante per la sua  opera. A 12 anni la incontrò nei film di Bruce Lee e si rese conto che si trattava di un cinema di intrattenimento talmente potente che era capace di far continuare a vivere un attore anche dopo la sua morte.

La forza di  Takashi Miike irrompe quando gli chiedono se rivede i suoi film e quale delle sue opere sente più sua. Ridendo (ma non troppo) dice di detestare questo genere di domande e risponde che i suoi film li rivede soltanto ai festival ai quali partecipa (come è accaduto ieri per la proiezione di As The  Gods Will), perché “passo direttamente al set del lavoro successivo”, e quindi a nuove persone e nuove esperienze. E il flusso continuo che lo spinge ad andare sempre avanti fa sì che il film più rappresentativo sia sempre la sua opera più recente, come somma, in quel preciso momento, di quanto vissuto e sperimentato.

La forza e l’intelligenza delle sue opere contengono l’omaggio allo Spaghetti Western, al cinema di Pasolini (alcuni critici hanno visto in Visitor Q un debito nei confronti di Teorema) e alle atmosfere di Fellini; da piccolo è stato fortemente influenzato dal cinema italiano, trasmesso in televisione; ma da ragazzo giapponese si era reso conto sin da subito che il cinema di Fellini era di uno splendore inimitabile, fatto con “quella intelligenza propria degli italiani”. E poiché “noi giapponesi non possiamo riprodurla, il mio compito è quello di fare altre cose”.  E mai come in questo caso è proprio vero che il mondo è bello perché è vario.

Anna Quaranta


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