Miracolo a Sanremo! Fabio Fazio e il suo staff, in una delle prime conferenze stampa della settimana festivaliera, avevano difeso a spada tratta l'indifendibile, ossia l'assurda collocazione oraria riservata alla gara delle Nuove Proposte, costrette a esibirsi, nelle due fasi eliminatorie, fra mezzanotte e l'una. Evidentemente, le loro certezze non erano poi così granitiche, visto che ieri sera i quattro giovani finalisti sono stati incredibilmente collocati a metà spettacolo, intorno alle 22 e 30. L'entusiasmo e lo stupore iniziali sono stati poi mitigati dalla constatazione che, come da me già evidenziato nei giorni scorsi, ci sono stati anni in cui la categoria esordienti apriva addirittura la serata conclusiva, senza che la cosa venisse considerata sconveniente o nefasta in funzione Auditel. Il format migliore fu quello adottato da Adriano Aragozzini durante i suoi tre anni di gestione della rassegna canora (1989 - 1991), coi giovani che si esibivano alternati ai Campioni, e sarebbe bene ripristinare quella benemerita usanza, senza arrivare agli estremi in cui invece "pulcini" e veterani gareggiavano insieme, uno contro l'altro: i big forse non gradirebbero, e non do loro tutti i torti. VITTORIA DISCUTIBILE- Comunque, per il momento accontentiamoci: vivaio sanremese finalmente in rilievo, e finale di grana buonissima. Peccato che ad aggiudicarsi la medaglia d'oro sia stata la proposta meno convincente del lotto. "Nu juorno buono" di Rocco Hunt è un rap - hip hop molto all'acqua di rose, quasi inconsistente, costruito su di un testo retorico ed elementare: da un giovanissimo ci si aspetterebbe un modo più brillante e fresco di mettere in musica il disagio e la voglia di rinascita della martoriata "terra dei fuochi". Decisiva, com'era prevedibile, la possente spinta del televoto, che raramente, nella storia di Sanremo, ha condotto a verdetti ineccepibili (vogliamo ricordare i "trionfi" di Marco Carta e Alessandro Casillo?); a spianare ulteriormente la strada ad Hunt, una giuria di qualità (ehm) che ha avuto la pensata di piazzare Zibba al terzo posto. ZIBBA NON VALORIZZATO - Zibba, lo ribadiamo, è uno con un curriculum da big, ha fatto dischi e tiene concerti, e ha uno spessore artistico da fare invidia a diversi colleghi affermati: la sua cadenzata "Senza di te", raffinata nell'arrangiamento e ricca di vivide e commoventi immagini poetiche, è un gioiellino. Anche The Niro è un artista già noto, la sensazione è che sul palco dell'Ariston non abbia reso al massimo (meglio la seconda esibizione della prima, comunque), con quel falsetto faticoso e sofferto, ma "1969" è un pop assolutamente contemporaneo, l'avventura della conquista della Luna (con tutte le sue implicazioni umane, sociali e storiche) raccontata per flash e pensieri brevi e ficcanti, senza fronzoli. Bravo anche Diodato, che invece è stato sempre impeccabile nell'interpretazione di "Babilonia", altro esempio di musica al passo coi tempi ed estremamente orecchiabile. SERATA RELAX - La quarta serata, finale giovani a parte, era quella dedicata al... relax dei big in concorso: penso infatti che esibirsi nella personale rielaborazione di grandi evergreen, con in più il sostegno di colleghi artisti, sia per i cantanti uno dei passaggi più gratificanti, emozionanti e al contempo distensivi della loro professione, perché possono dare libero sfogo alla loro "voglia di palco" senza assili e pressioni. La serata dei duetti, introdotta da Paolo Bonolis e Gianmarco Mazzi nel 2005 e da allora sempre presente a Sanremo, sia pur declinata in versioni differenti nelle varie edizioni, è più che altro, sia detto senza offesa, un riempitivo, quasi inevitabile quando si devono studiare sistemi per rendere interessanti ben cinque giorni di show di una kermesse che, parere mio, acquisirebbe maggior slancio se venisse snellita e portata a quattro serate. COVER NON BANALI - Comunque, nel corso del tempo questo "gala d'intermezzo" della gara canora ha spesso riservato autentiche perle, fra tanti duetti superflui. Il pregio della serata di ieri è stato quello di offrire un repertorio non banale e più coraggioso. Perché si sa come vanno queste cose sulle reti generaliste: quando si parla di cover, ci si butta a pesce sul sicuro, sullo stra-suonato e stra-sentito. E invece, piuttosto che proporci, per Ivano Fossati, Paolo Conte e Giorgio Gaber, "La mia banda suona il rock", "Vieni via con me" e "Porta romana", in scaletta c'erano "La costruzione di un amore", "Boogie" e "Non arrossire", pezzi famosi ma non ultrapopolari come i primi citati. Meritati applausi ha conquistato l'ensemble Sinigallia - Marina Rei - Paola Turci con "Ho visto anche degli zingari felici" di Claudio Lolli, mentre di grandissima suggestione è stata la versione di "Cara" di Lucio Dalla offerta da Ron, che l'ha declinata in chiave minimalista ed intimista. Fedele all'originale, ma molto vigorosa, "Diavolo in me" coverizzata da Francesco Sarcina, con l'ininfluente apporto da Riccardo Scamarcio, mentre è risultato incerto il sostegno vocale di Violante Placido ai Perturbazione per "La donna cannone".
LA STRAORDINARIETA' DI "VOLARE" - Ha stupito la fortissima emozione di Alessandro Haber, che pure sa cantare e tenere il palco (al punto che, in passato, più di una volta si era proposto per partecipare in gara al Festival): nell'esecuzione di "Il mare d'inverno" con Giusy Ferreri è andato spesso fuori tempo, costringendo l'orchestra ad affannose rincorse. Ottima interpretazione di Arisa in "Cuccuruccucu" di Battiato, col valido apporto dei danesi Who made who, soliti virtuosismi vocali ma sostanziale rispetto dell'originale per Antonella Ruggiero, alle prese con "Una miniera" dei New Trolls assieme ai DiGi Ensemble Berlin e la loro novità dei tablet usati come strumenti musicali. Renga e Kekko dei Modà hanno gigioneggiato troppo nell'interpretazione di "Un giorno credi" di Edoardo Bennato, Noemi non mi è parsa impeccabile nel gestire la comunque complessa "La costruzione di un amore" di Fossati, mentre l'ennesima versione di "Nel blu dipinto di blu", offerta questa volta da Gualazzi e Bloody beetroots (con Tommy Lee), ha dato comunque una veste sonora intrigante, ammantata di jazz, al classicissimo di Modugno, dimostrando, casomai ve ne fosse bisogno, che la straordinarietà di "Volare" risiede anche nel fatto di poter essere adattata, riletta e modellata secondo le più svariate sonorità e i generi musicali più disparati, ma riesce ugualmente a mantenere intatta la propria brillantezza. PAOLI E POI IL VUOTO - Dopo Renzo Arbore, un'altra performance di altissimo spessore da parte di Gino Paoli, che con l'accompagnamento di Danilo Rea ha offerto alla platea un delicato e personale ricordo di tre amici ed esponenti di spicco della scuola cantautoriale genovese del tempo che fu, ossia De Andrè, Tenco e Umberto Bindi. Momento di spettacolo vero, mentre la stessa cosa non si può dire dei siparietti delle altre guest stars della serata: di un Paolo Nutini che poteva tranquillamente risparmiarci la sua brutta rilettura di "Caruso" di Dalla (se devi cantare in italiano, almeno studiati le parole della canzone, il succo è questo); di un Silvan che è stato anche divertente, ma la prestidigitazione a Sanremo non si vedeva dal 1981, con il carneade Dany Adam's, e sinceramente in tutto questo tempo nessuno ne aveva avvertito l'insopprimibile bisogno; di Luca Zingaretti e di Enrico Brignano, passati essenzialmente a promuovere i loro prossimi prodotti televisivi (gli spot negli intervalli del Festival non bastavano?) aggiungendo al tutto due brevi e dimenticabili performance, la lettura di un articolo di Peppino Impastato (che meritava ben altro trattamento e ben altro pathos) e un rapido e poco sentito omaggio ad Aldo Fabrizi. LA FINALISSIMA E IL CASO SINIGALLIA - Due parole sulla gara di stasera: come scritto ieri, sarà corsa a cinque fra Renga, Arisa, Rubino, Gualazzi e Perturbazione, con scarse possibilità di inserimento di altri cantanti. Visto però che l'ex Timoria gode di un buon seguito presso il pubblico dei televotanti, e visto anche il modus operandi adottato per i giovani dalla giuria di qualità (ripetiamo: Zibba al terzo posto su quattro finalisti), difficile che a "Vivendo adesso" possa sfuggire la vittoria. E la cosa, lo dico sinceramente, non mi dispiacerebbe. Del caso Riccardo Sinigallia ho scritto ampiamente ieri, credo fotografando in maniera abbastanza azzeccata l'aspetto giuridico della questione, pur da quasi ignorante in materia di diritto: grave leggerezza la sua, grande dignità nel rinunciare al ricorso (ieri sera sul palco mi ha fatto tenerezza, sembrava avere, come si dice dalle mie parti, "il cuoricino piccolo piccolo", ma si rilassi: le cose gravi della vita sono altre), e alla fine non gli andrà poi malissimo: il suo pregevole brano, "Prima di andare via", non avrebbe potuto risalire più di tanto la china vista la posizione nella classifica provvisoria, e stasera avrà comunque la possibilità di passare in Eurovisione fuori concorso, come accadde a Bobby Solo con "Una lacrima sul viso" nel 1964 (ma per altri motivi): sarà una bella vetrina promozionale. Della necessità di rivedere la "legge" dell'obbligatorietà dell'inedito si parlerà nei prossimi mesi, ma io rimango sulle mie posizioni: senza canzoni nuove, Sanremo perde il 60 - 70 per cento delle proprie potenzialità, della propria magia. E' un punto del regolamento che si può mitigare e rendere più elastico, ma sopprimerlo no, proprio no. E ora, buona finale a tutti.