Se persino due fuoriclasse delle sette note come Raf e Irene Grandi giocano col freno a mano tirato, diventa sempre più improbabile che il Volo possa trovare un qualche ostacolo nella sua corsa sicura verso il trionfo di sabato. L'avevo scritto alla vigilia: per arginare il pronostico ultra - favorevole ai tre giovani tenori, occorreva un brano - capolavoro o giù di lì, e ritenevo fosse principalmente nelle corde dei due sopracitati artisti. I quali però, è evidente, non sono riusciti a tirarlo fuori dal loro cassetto in occasione di questo Sanremo 2015. Intendiamoci: "Come una favola" di Raf e "Un vento senza nome" di Irene sono due canzoni gradevoli, di buona fattura, ma che non sfondano al primo ascolto, non lasciano subito il segno; e poi, diciamocelo, sono composizioni "a rischio zero", cioè non particolarmente coraggiose: lenti melodici e romantici che potranno anche entrare nel repertorio dei due cantanti e conquistare il pubblico, alla lunga, ma che difficilmente resteranno nella storia del Festivalone (felice di essere smentito, naturalmente). MASINI E ZILLI PROMOSSI - Marco Masini, lui sì, ha fatto centro. Altro fiero rappresentante della "nuova generazione dei veterani" (i ragazzi degli anni Ottanta - Novanta, una volta pensionati i reduci dei Sessanta, troppo a lungo prezzemolini all'Ariston), ha proposto una "Che giorno è" brillante, ispirata, con soluzioni ritmiche e testuali estremamente incisive (scritta fra gli altri da Federica Camba, autrice di spessore). Non so se possa bastare a creare qualche problema ai ragazzi di "Ti lascio una canzone", ma occhio: l'esperienza di due anni fa alla "Canzonissima" di Carlo Conti ha mostrato che il cantautore toscano è molto forte in sede di televoto. In ogni caso, la palma di "vincitore di tappa" può essere attribuita a lui, in una seconda serata festivaliera che ha proposto, relativamente ai Big, un buon livello musicale, pur se nel segno di quella medietà cui si è fatto riferimento in questi giorni: ossia nulla di davvero brutto, ma anche scarsi slanci innovativi, la tendenza a non strafare e andare sul sicuro, restando in particolare abbracciati alla più consolidata tradizione sanremese. Mi piace comunque sottolineare l'azzeccata performance di Nina Zilli, che nel 2012 mi aveva deluso con una "Per sempre" banalotta, e che stavolta ha invece sfornato, di suo pugno, un buon blues, ispirato e interpretato col giusto piglio. VOLO UBER ALLES - Visto che è stato più volte "evocato" nelle righe precedenti, parliamo dunque del Volo: hanno fatto ciò che ci si aspettava. Melodia declinata in chiave discretamente moderna, slanci tenorili, inciso a ugole spiegate ma dalla struttura non propriamente scontata, amore a profusione, toni solenni e a tratti drammatici: è un mix che a Sanremo fa quasi sempre centro, soprattutto in assenza di proposte alternative di peso autentico. Non mi è dispiaciuta Anna Tatangelo, che ha cantato con professionalità una "Libera" serena, morbida e rassicurante, di stampo assolutamente tradizionale dopo le recenti audacie di "Muchacha" (ma anche del "Bastardo" che colpì a Sanremo 2011): non a caso, dopo essersi tolta il cognome per una sola, breve estate, è tornata a sfoderarlo con orgoglio sulla Riviera Ligure: bizzarrie da artista? Oscuri progetti di marketing dei discografici? Boh. BRAVI... IDIOTI, MORENO DEVE RISALIRE - L'altro pezzo griffato Silvestre, "Il solo al mondo", per il momento è scivolato via come acqua fresca, affidato alla acerba personalità di Bianca Atzei (sfido: perché sia stata inserita fra i Big rimane un mistero poco gaudioso), Lorenzo Fragola è parso discretamente radiofonico ma penalizzato da un'esecuzione live minata dall'emozione. Meritano sostanziale benevolenza Biggio & Mandelli: il tributo a cabarettisti d'antan è evidente, Cochi e Renato in primis , ma è una citazione ben fatta, ferma restando l'inavvicinabilità dei modelli originali. Insomma, diciamocelo: fra i tanti "non cantanti" che hanno sfilato negli anni sul palco dell'Ariston in gara, quella dei due Soliti Idioti non è stata certo la proposta peggiore. Piuttosto, sorprende la caduta in "zona retrocessione" di Moreno: personaggio al quale non ho risparmiato critiche in passato, ma che nella circostanza ha portato uno dei brani più schiettamente rap nella storia di Sanremo, ben costruito e che si ficca subito in testa. Sorprendente anche perché è forse il primo (vado a memoria) dei reduci da talent a ritrovarsi a rischio eliminazione: ma sarei pronto a scommettere che venerdì le nubi sulla testa del genovese si diraderanno rapidamente.
GIOVANI DA SEGUIRE - La serata era stata aperta dai "quarti di finale" della gara fra le Nuove proposte: eliminazione diretta, meccanismo rapido e crudele, ma in fondo il Sanremone è o non è una tenzone canora? E del resto, le canzoni dei giovani sono "nell'aria" già da diverse settimane, chi era interessato ha avuto modo di ascoltarle più volte e crearsi una propria opinione (vantaggio non concesso, giustamente, ai Big). Certo gli abbinamenti contano molto, magari Chanty avrebbe prevalso contro Kaligola e i Kutso non avrebbero avuto vita facile contro Enrico Nigiotti. Alla fine l'han spuntata questi ultimi due: nessuna sorpresa per il cantautore toscano, che ho già indicato come massimo papabile per il successo finale (anche se dal vivo non ha reso al massimo), mentre non era facile pronosticare il passaggio del turno della bizzarra e dissacrante band, con la caciarona e gioiosa "Elisa". Beh, meglio così: Chanty ha una voce che vale ma deve magari modernizzare un po' il suo stile, Kaligola mostra già una discreta maturità compositiva, fa specie che lui sia finito subito fuori mentre il ben più banale Rocco Hunt l'anno scorso abbia addirittura vinto, ma son cose che succedono nel mondo dello spettacolo. BOILERS E PINTUS, COMICI DI PIANETI DIVERSI - Sul piano dello show, è parsa una serata condotta a tratti col freno a mano tirato, quasi che gli eccellenti risultati di audience del debutto abbiano creato una sorta di effetto "congelamento", la voglia di non andare oltre il compitino ché tanto ormai il pericolo flop è scansato. Ma attenzione: al Festival non si può mai dire mai fino alla notte inoltrata del sabato... Ancora impalpabili le "tre grazie" di Conti, lo stesso padrone di casa è sembrato troppo sbrigativo in certe circostanze e poco partecipe delle gag degli ospiti (soprattutto con Nibali e quella "misteriosa" bicicletta portata in scena quando il campione già non c'era più, ma anche con Edoardo Leo, chiamato solo in extremis sul palco per affiancare Amendola e Argentero nella promozione del film "Noi e la Giulia"). Sempre su ottimi livelli i Boilers, è sorta invece spontanea una domanda: ma Angelo Pintus è un comico? Lo avevo già bocciato sonoramente per la sua performance nel film "Tutto molto bello", oltreché per i suoi pregressi in certe trasmissioni Mediaset, ma ero stato messo sul chi va là dalla notizia di trionfi oceanici nei teatri italiani. Alla luce dei quali mi sorgono inquietanti dubbi sulla capacità di una fetta di pubblico di valutare il reale spessore artistico di un cabarettista. Lo sketch di Pintus non è stato uno sketch: non ha fatto ridere, punto e basta, se non per l'usuratissima imitazione di Pizzul, bella forza. Preferisco pensare che il ragazzo fosse in una serata negativa, ma gli interrogativi restano, e tanti. SPLENDIDA CHARLIZE - Di ben altro spessore l'ospitata di Charlize Theron, splendida, elegante, fascinosa, una vera star a tutto tondo, nel senso "hollywoodiano" del termine. Il fustaccio Antonacci, abbigliato in maniera discutibile, ha perlomeno omaggiato da par suo Pino Daniele (troppo fugace, invece, il ricordo di Mango, affidato a un balletto di Rocio Morales), mentre si conferma azzeccata la scelta delle vedettes del pop internazionale: hanno ben figurato i Marlon Roudette e soprattutto Conchita Wurst, la cui canzone "Heroes" è un evidente omaggio a David Bowie. La vincitrice dell'ultimo Eurovision Song Contest ha voce e presenza scenica, barba o non barba... Giusto il tributo a Pino Donaggio, che però poteva evitarsi il riferimento inelegante alla sua partner Jody Miller (nemmeno citata per nome) che interpretò "Io che non vivo" al Festival del '65. Rimane una domanda a martellarmi il cervello: dopo aver visto che nell'iniziativa "Tutti cantano Sanremo" gli ospiti propongono, come è logico, evergreen del passato festivaliero, perché alla famiglia Anania è stato consentito di citare un pezzo ("Gli occhi verdi dell'amore") che con Sanremo non c'entra un fico secco?