Festival di Venezia – Incontro con il regista Alexandros Avranas

Creato il 02 settembre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il film choc del Lido, l’istantanea lucida, spietata e minimalista del perpetrarsi della violenza famigliare come nessuno aveva mai avuto il coraggio di raccontare. “Miss Violence” di Alexandros Avranas scandalizza il concorso della 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e solleva interrrogativi.
Un ritratto pasoliniano per stessa ammissione del regista greco, che rivela di essersi lasciato “influenzare da Pasolini e dalla sua critica profonda alla società”…

L’inquadratura finale sulla porta che si chiude fa pensare a una non risoluzione della violenza e del suo perpetrarsi…
Il finale ha un doppio senso. Da un lato se nessuno decide di fermare questo ciclo di violenza piscologica e fisica, di decadimento, tutto ciò continuerà per ogni madre; dall’altro la porta chiusa è simbolo delle cose che non vogliamo vedere o percepire, perché spesso il mondo esterno vede ma preferisce rimanere passivo, esattamente come succede nella nostra società.

La sua storia sembra un appello alla prossima guerra mndiale tra uomini e donne.
Non c’è nessuna guerra dei sessi: il potere non ha sesso come appare evidente nel finale, dove la salvezza viene dalla morte del protagonista maschile per mano di una donna. Un’azione che non vuole assolutamente fornire una giustificazione alla giustizia fai da te, ma necessaria all’economia del film.
”Miss Violence” è la violenza insegnata dal padre in una società patriarcale e alla quale si finisce per essere così abituati da arrivare a un certo punto a sentirne la mancanza.
I comportamenti del potere e dell’oppressione, la cosiddetta sindrome di Stoccolma in cui la vittima ama nonostante le violenze subite, non sono una metafora. Tutti viviamo in una società e non vogliamo vedere oltre, non hai supporto, non hai dove camminare o dati certi per evolverti.

Si può dire che il suo film è in qualche modo metafora di un mondo in balia dello smarrimento?
Nell’ Europa della crisi abbiamo preferito occuparci di una crisi dei valori trasversale, che va adlilà di quella economica. “Miss Violence” ha un grande rispetto per tutti quelli che hanno subito forme di violenza domestica. Non c’è una metafora, ma piuttosto un simbolismo della società odierna, è una storia universale che potrebbe essere accaduta ovunque.
Siamo prigionieri di un circolo vizioso in cui nessuno può fare il rivoluzionario, non c’è spazio per ribellarsi. È quanto emerge non solo all’interno della famiglia protagonista, ma anche dal mondo attuale.

Da dove viene l’idea?
È un fatto realmente accaduto e la storia vera è anche peggiore, più violenta e disumana di quella raccontata da noi.

Perchè ha scelto un finale così cruento? Non era possibile una soluzione diversa?
È un film senza happy end, la salvezza è solo temporanea.

Ha mai pensato di far terminare il film con la scena in cui la madre pulisce i coltelli?
Sarebbe stato molto facile farlo concludere con quella scena, perchè spesso noi registi tendiamo a lasciare i finali aperti. Invece volevo completare i caratteri di tutti personaggi.

Come è stato il lavoro con i bambini sul set?
Abbiam fatto molti casting con i bambini e a loro non ho nascosto nulla, abbiamo letto insieme tutta la sceneggiatura, spesso con l’aiuto dei loro genitori.

Gli ispettori dei servizi sociali sono un’allusione agli ispettori europei che vengono in Grecia e non capiscono ciò che sta accadendo?
Non l’ho mai pensato, per me sono semplicemente un ente statale che preferisce non vedere e rimanere nascosto dietro a ruoli standardizzati.

foto Federica De Masi © Oggialcinema.net

di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net


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