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Festival di Venezia – Kim Ki-duk, shok al Lido

Creato il 04 settembre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

 

film moebius

Non bastano le parole di Kim Ki-duk a stemperare gli animi di chi ha assistito alla proiezione veneziana del suo ultimo film, “Moebius”, presente fuori concorso alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Una storia disturbante, di violenza e desideri castrati che si sviluppa attraverso il perpetuarsi di evirazioni, stupri e un incesto finale che chiude il cerchio. Moebius divide, solleva polemica e scandalizza, anche se il Leone d’Oro dello scorso hanno ci tiene a precisare che il suo “non è un film sull’incesto, ma l’occasione per rendere pubblico un argomento ancora tabù in Corea, come quello dei genitali”. Poi ribadisce: “Nel cinema si raccontano storie universali che trascendono dalla nazionalità del regista. Ritengo di saper esprimere la temperatura della società che viviamo, rifletto tutto ciò che dalla società arriva a me, viene elaborato attraverso me e poi diventa cinema”.

Perché “Moebius”?
La scelta del titolo non allude a nessuna relazione con il fumettista francese Moebius; il titolo si rifà invece ai principi matematici e teorici del nastro di Moebius. È un film sul concetto di famiglia e di sesso, ma soprattutto sul rapporto che tutte queste dinamiche creano all’interno di un nucleo famigliare.

Come in “Ferro 3” è tornato al muto…
Nel mio cinema non ci sono quasi mai tanti dialoghi. Qui ho tolto la parola anche ai personaggi minori, perché volevo tentare una nuova idea di fare cinema concentrandomi sulle immagini.

Si può considerare questa pellicola anche una riflessione sul concetto fallocratico di potere?
Da un certo punto di vista forse sì, ma all’interno della storia del film l’argomento dei genitali è una mia scelta. Nella società coreana è ancora un tabù, un qualcosa di proibito e segreto che non va nominato. Il mio intento principale era rendere pubblica una tematica finora appartenuta alla sfera del proibito e del segreto.

Ci sono alcuni elementi della scenografia molto singolari, come il libro de “Il Grande Gatsby” o la copertina di un catalogo d’arte con l’immagine de ‘La ragazza con l’orecchino di perla’. Hanno un significato particolare?
Prima di iniziare a girare discuto della sceneggiatura con tutto lo staff artistico in modo da recuperare i vari oggetti di scena; ma non do mai delle direttive particolari, è lo staff a sceglierli. Ogni cosa è poi lasciata all’interpretazione di ciascuno spettatore, perché ognuno fa dei collegamenti assolutamente personali.

Alcuni momenti del film hanno suscitato l’ilarità del pubblico. Era previsto dalla sceneggiatura?
“Moebius” affronta un argomento assai complesso, soprattutto in Corea. Qui a Venezia avete visto la versione originale, che in patria è stata tagliata perché non ha superato il visto della censura. Ho sentito quindi, proprio per la complessità dell’argomento, il bisogno di dover rendere il film più leggero in alcuni punti e di facile approccio. Mi aspettavo perciò che alcune scene venissero percepite così.

Ci sono due momenti di preghiera, all’inizio e alla fine del film. Ce ne spiega il significato?
La prima scena, dove il volto della persona che prega davanti all’immagine sacra è nascosto, non ha alcun legame con l’evoluzione drammatica della storia; la scena finale invece ha un particolare significato e cioè che nella società coreana e in quella contemporanea di tutto il mondo, viviamo spesso momenti di tensione, di lotta, rabbia e stress profondo. Lo scopo di entrambe alla fine è di annullare e sciogliere tutte le sensazioni negative.
Nel buddismo la preghiera è un atto di abbandono di tutto il difficile e dell’immanente della vita quotidiana, è la via per trovare la liberazione nella astrazione della meditazione.
Il mio intento era allentare questa tensione all’interno di un film così difficile.

Torna il tema dell’amore come sofferenza e dolore…
In parte sì, ma mi piacerebbe che questa storia fosse rappresentativa e raccontasse le difficoltà e le tensioni sviluppate da un mondo intero. Vedo la famiglia come una sorta di società concentrata.

foto Federica De Masi © Oggialcinema.net

di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net


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