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Festival Economia Trento: federalismo secondo Giarda e Visco

Creato il 01 giugno 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
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Piero Giarda (attribution: Paolo Pedrotti).

Dopo l’intervento di Giuliano Amato nella prima giornata del Festival dell’Economia a Trento, nel corso del dibattito “Chi comanda in Italia?”, organizzato da lavoce.info, si sono confrontati due ex ministri, Piero Giarda e Vincenzo Visco, e due amministratori, Flavio Tosi e Alberto Pacher.

L’ex Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ha tracciato uno storico delle attuazioni di un federalismo fiscale italiano fin dalle origini dell’Unità d’Italia. Arrivando ai giorni dell’attuale Costituzione, Giarda ha sottolineato come lo Stato abbia il dovere etico costituzionale di intervenire nella finanza degli enti decentrati, attraverso gli strumenti del “principio dei livelli essenziali delle prestazioni”  che lo Stato deve finanziare e il “principio alternativo per l’intervento dello Stato”.

Per Giarda il problema è e rimane essenzialmente politico: “la politica non è riuscita da una parte a pagare l’uniformità dei servizi in diversi punti del territorio e dall’altra a prendere atto della differenza della capacità contributiva e di eliminare o ridurre le conseguenze delle differenze dei livelli di capacità contributiva dei diversi punti”. La spesa decentrata ha ormai raggiunto i 250 miliardi di Euro, di cui 100 miliardi coperti da entrate proprie, mentre il resto è coperto da trasferimenti statali e da partecipazioni occulte.

Un altro argomento scottante per Giarda è quello della sanità e dell’istruzione, temi che sembrano spesso intrecciati. “La crescita della quota della spesa sanitaria nella spesa pubblica complessiva è stata di cinque punti percentuali, una modifica del mix della produzione di servizi pubblici di rilievo inimmaginabile. Questi punti sono stati fondamentalmente pagati dalla scuola, perché c’è stata una corrispondente modifica della quota destinata all’istruzione. La sanità è concentrata nelle classi più anziane e, avendo meno giovani, uno spostamento di fondi verso la prima sarebbe corretto; ma l’altro aspetto che prevale dal 2000 -ma era in vigore anche prima- è che dietro la sanità c’è l’interesse della classe politica regionale, cui è delegata, mentre la scuola no, tranne forse i sindacati”. “La nostra Costituzione riformata -continua l’ex ministro- metteva sanità e scuola nelle materie della competenza corrente: la sanità è stata quindi data alle regioni ed è diventata materia di interesse dei politici regionali, mentre la scuola è rimasta dell’interesse dei ministri”.  C’è stata quindi una concomitanza di interessi: quelli della stessa classe politica regionale, quelli dell’industria farmaceutica, la mutazione demografica, tutto a scapito di uno dei settori debiti di interesse della rappresentanza politica. Una nota sul Trentino: “alcune regioni, come il Trentino, hanno integrato scuola e sanità e sono sicuro che, avendo un unico agente rappresentativo, responsabile e politico, sono tenuti presenti gli interessi di vecchie e nuove generazioni.

Altro argomento importante per Giarda è quello del trasporto pubblico: “c’è una disarticolazione massima, lo Stato finanzia le regioni, i comuni organizzano i trasporti ecc. Sarebbe preferibile forse che fossero affidati tutti ad un’unica struttura di controllo”. Sul patto di stabilità, Giarda non ha dubbi: “bisognava controllare la differenza tra le spese e le entrate proprie. Non siamo riusciti a trasferire sugli enti decentrati l’idea che è tutto il sistema pubblico che deve concorrere a realizzare quegli obiettivi che il Governo italiano concorda con la commissione e gli organi di governo europei. Abbiano affastellato queste regole che oggi sono diventate incomprensibili perché si è perso il semplice fatto che tutti gli enti decentrati dovrebbero migliorare la differenza tra le loro spese e le entrate proprie, tutto il resto è sovrastruttura.

Dice la sua anche l’ex ministro Visco, asserendo che il dibattito sul federalismo in Italia è stato falsato da una consapevole distorsione dei dati della realtà. Secondo Visco “la confusione è quella tra assetto dei poteri dello Stato, che è il vero elemento che distingue Stati federali da Stati unitari (problema istituzionale-giuridico) e il problema delle risorse, che si può gestire in modo del tutto separato dal problema dei poteri”. Al mondo poi ci sono stati federali con finanze molto accentrate, come l’Australia e stati unitari con finanze molto decentralizzate, come i Paesi Scandinavi.

Festival Economia Trento, Piero Giarda, Vincenzo Visco, federalismo, Alberto Pacher, Flavio Tosi, economia

Vincenzo Visco (attribution: Paolo Pedrotti).

Il problema, secondo l’ex ministro, è che “in Italia tutti aspettavano il federalismo per avere più soldi e quindi andava bene per il sud che poteva avere servizi migliori, mentre al nord avrebbe rafforzato la gestione dei soldi. Le risorse che sono proprie degli enti decentrati sono state triplicate tra anni 80 e 90 e i poteri e le competenze sono stati abbondantemente trasferiti. Erano previsti tributi autonomi, partecipazione al gettito di tributi erariali, devoluzione di gettiti in sede locale, possibilità di variare al margine aliquote primarie e imposte locali (IRPEF). Venne subito fuori che le risorse complessivamente disponibili non erano tali da soddisfare le richieste. “Viceversa, la riforma dei poteri è quella che abbiamo fatto con la riforma del titolo V”.

Visco invoca poi il principio di sussidiarietà: “ognuno fa quello che gli riesce meglio e poi tutti collaborano all’esito complessivo”.  Se uno osserva l’esperienza degli altri Paesi, nota che, salvo alcune cose, generalmente le altre funzioni differiscono enormemente tra Paese e Paese (nessuno attribuisce a enti decentrati la sanità, per esempio, solo l’Italia). Il concetto di federalismo cambia nello spazio e nel tempo e ingessarlo non va bene. Bisogna poi chiarire un altro punto: molto del dibattito sul federalismo si è basato sul fatto che gli enti più bravi volessero più risorse. Questo avviene già: uno Stato unitario, anche se ha legittimato le diseguaglianze con il titolo V, deve avere un limite.

L’altro tema su cui riflettere è che se invece della sanità le regioni avessero avuto l’istruzione, oggi avremmo qualche punto di spesa in più per istruzione e qualcuno in meno per la sanità: il che significa che i poteri sono stati distribuiti e chi ci ha rimesso è stato lo Stato centrale, che ha perso la politica fiscale e monetaria (BCE) e poi il controllo di molti capitoli di spesa. C’è un dibattito sulla ricomposizione di questi poteri.

Articolo di Silvio Carnassale


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