Festival Internazionale del Film di Roma: “Acrid” di Kiarash Asadizadeh (In Concorso)

Creato il 18 novembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2013

Durata: 94’

Genere: Drammatico

Nazionalità: Iran

Regia: Kiarash Asadizadeh

Mai titolo fu più appropriato ad un’opera come nel caso di ‘Acrid’ – in italiano ‘agro’, ‘aspro’ – film iraniano in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma ed opera prima del regista Kiarash Asadizadeh, che ben rappresenta il gusto amaro della condizione femminile nell’Iran contemporaneo (rispecchiando quella di tanti altri luoghi del mondo), la solitudine delle sue protagoniste e la loro incapacità e sofferenza per non potere o volere rompere quei vincoli matrimoniali e familiari (per paura, tradizione, fragilità o timore della riprovazione sociale?) che le legano ad uomini instabili, traditori, meschini e privi di scrupoli, condannandole ad una cupa infelicità e ad un immobilismo senza prospettive, visivamente resi dai toni grigi e tetri della fotografia.

Ma forse il film vuole dirci anche qualcos’altro ed affida alle donne il ruolo di un intero Paese che non riesce, nonostante la cultura, l’impegno ed il desiderio di emancipazione politica e libertà di espressione, ad uscire da un claustrofobico ‘loop’, entro il quale la famiglia si dissolve, l’ipocrisia di certa parte della società trova terreno fertile ed i forti, furbi e violenti hanno la meglio. Ritorna nel film, non a caso ma come una citazione,  l’idea della circolarità di storie femminili, già sviluppata nella celebre pellicola “Il cerchio” di Jafar Panahi (che fruttò al regista il Leone d’Oro a Venezia nel 2000), dove otto donne facevano quotidiano esercizio di sopravvivenza in una società ostile e distaccata. Echeggia anche la rottura ‘laica’ (la religione appare in dissolvenza) dei legami familiari, ben descritta nel più recente “Una separazione”, la pellicola di Asgar Farhadi premiata con l’Oscar per il miglior film straniero.

In ‘Acrid’ si avverte la stessa gelida freddezza, che non cerca di commuovere o convincere lo spettatore nel raccontare le vite di quattro donne apparentemente prive di ‘trait-d’union’ se non quello delle sfortunate relazioni sentimentali con i partner, dell’impotenza al cambiamento (emergente solo a livello razionale), della scarsa possibilità reale d’incidere sugli eventi. Il racconto si dipana piuttosto come una descrizione cruda e distaccata di fatti e parole di ordinaria insensibilità (come ad esempio il ginecologo Jalal, che assume solo segretarie nubili e tradisce la moglie Soheila quando lei, medico, fa le guardie di notte ed al mattino le chiede anche insistentemente, in tono sprezzante: ‘perché non te ne vai da casa? non puoi restare qui, vattene!’), sia pur caratterizzato da un’atmosfera oppressiva, in cui un personaggio tira l’altro e si aggancia al precedente, finché l’ultima protagonista, una studentessa universitaria, tradita inaspettatamente dal fidanzato, corre a cercare conforto nel padre, che altri non è che il ginecologo Jalal, chiudendo così il cerchio narrativo e simbolico.

“Le donne hanno un ruolo importantissimo nella famiglia – afferma il regista – ma il mio intento era anche quello di raccontare i cambiamenti della struttura familiare iraniana e dei valori, osservabili soprattutto nell’ultimo decennio in cui ho cominciato a fare cinema: ho infatti l’impressione che qualcosa si stia allentando ed i componenti della famiglia hanno sempre meno rispetto reciproco, ma non credo sia una cosa solamente iraniana, bensì un problema esteso a tutto il mondo. Quanto alla distribuzione del film, abbiamo avuto difficoltà ordinarie e problemi con la vecchia amministrazione, ma il nuovo Governo sembra più aperto al dialogo e siamo in trattativa per avere il permesso di uscire nelle sale”.

All’intero gruppo/cast delle brave ed espressive attrici del film – Roya Javidnia, Ehsan Amani, Pantea Panahiha, Saber Abar, Shabnam Moghadami, Mahsa Alafar, Mahana Noormohammadi, Sadaf Ahmadi, Nawal Sharifi, Mohammadreza Ghaffari - è stato assegnato il Premio ufficiale del Festival per la giovane attrice (o attore) emergente.

Elisabetta Colla


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