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Festspielhaus Baden-Baden – Zubin Mehta e i Münchner Philharmoniker

Creato il 01 giugno 2015 da Gianguido Mussomeli @mozart200657
Foto ©Manolo PressFoto ©Manolo Press

Sono da sempre un convinto estimatore dell’ arte di Zubin Mehta, un direttore che mi ha regalato alcune delle serate più belle nella mia vita di ascoltatore. Per questo sono andato con grande piacere ad ascoltare il suo concerto con i Münchner Philharmoniker e Rudolf Buchbinder come solista, che ha concluso il Pfingstsfestspiele di Baden-Baden. I programmi sinfonici inusuali sono indubbiamente una bella cosa e i giovani interpreti di talento vanno chiaramente seguiti, ma ogni tanto è bello concedersi come alternativa una serata di grande repertorio tradizionale eseguito da artisti della vecchia scuola. Il discorso è quanto mai opportuno nel caso di Mehta, che nella sua ormai più che cinquantennale carriera ha collaborato con le migliori orchestre e i più grandi interpreti della sua epoca e che, quando si trova sul podio di un complesso come quello monacense, del quale è Ehrendirigent, riesce ancora a sfoderare tutta la sua straordinaria classe di musicista. Bastava ascoltare le prime battute dell’ Ouverture Ruy Blas di Mendelssohn, con il romanticissimo colore scuro esibito dagli ottoni, e di seguito la fervida drammaticità degli archi nell’ esposizione del tema principale, per rendersi conto della classe aristocratica che il direttore indiano è ancora in grado di conferire alle sue esecuzioni. Arrivato ormai alla soglia degli ottant’ anni, Mehta ha conservato quasi intatta la sua mimica elegantissima e stilizzata, solo lievemente attenuata nell’ ampiezza del gesto e sempre perfettamente funzionale agli effetti richiesti. I Münchner Philharmoniker lo hanno seguito con quella dedizione e comprensione delle intenzioni che derivano da una lunga frequentazione reciproca, sfoggiando tutte le qualità del loro suono brunito e pastoso.

Anche la presenza di Rudolf Buchbinder come solista nel Primo concerto op. 15 di Brahms era per me un motivo di grande interesse. Il pianista viennese è sempre stato trattato con un sussiego del tutto gratuito dalla critica italiana, mentre nel mondo musicale tedesco è considerato da anni uno dei più autorevoli interpreti del repertorio classico e romantico, come testimoniano anche i numerosissimi premi conferiti alle sue incisioni dalla critica internazionale. Alle prese con una partitura tecnicamente complicata e faticosa come quella del Concerto brahmsiano, il sessantanovenne Buchbinder ha messo in mostra una tecnica ancora assolutamente intatta e un suono potente, timbratissimo e perfettamente dominato nelle sfumature dinamiche. Un’ interpretazione condotta con un fraseggio ampio, aristocratico e caratterizzato da una idiomaticità derivata da una perfetta consapevolezza stilistica. Impeccabile nei passi di doppie ottave e nelle agilità di forza del Maestoso iniziale, Buchbinder ha esposto le linee melodiche dell’ Adagio con un jeu perlé di assoluta squisitezza e ha poi offerto un magnifico saggio di virtuosismo scintillante nel Rondò conclusivo, sostenuto in maniera eccellente da Mehta dopo qualche leggero problema di assestamento reciproco nel primo tempo. In ogni caso, una lettura di altissima classe, da definire senza il minimo dubbio Souveräne, come si direbbe in tedesco.

Foto ©Manolo Press
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Anche nella Sesta Sinfonia di Tschaikowky, la celeberrima “Patetica”, i Münchner Philharmoniker hanno messo in mostra una paletta timbrica di grande bellezza, che Mehta ha messo al servizio di un’ interpretazione estremamente coinvolgente nel suo tono di fervida e drammatica intensità. A partire dalle prime battute, con il vibrato appena percettibile dei contrabbassi sul quale il fagotto esponeva una melodia struggente, l’ esecuzione si sviluppava con una logica espositiva perfetta per il fervore nobile e assolutamente privo di retorica conferito al fraseggio. Mehta ha diretto con la sicurezza di chi conosce tutti i segreti della partitura e la classe del grande narratore, trovando una magnifica trasparenza nelle linee melodiche e raggiungendo toni di alta drammaticità espressiva nell’ Adagio finale, impeccabilmente calcolato negli effetti e concluso in un clima rarefatto, con sonorità di una bellezza attonita e dolorosa. Un’ interpretazione impeccabile nella sua coerenza e logica che ha concluso come meglio non si poteva una serata di grande musica, salutata dal pubblico del Festspielhaus con applausi intensi e affettuosi. Dopo un concerto del genere, si può sicuramente dire che Zubin Mehta ha ancora molto da dare alla musica.



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